di Emanuela Gialli
(e.gialli@rai.it)
Ancora un successo per l’Italia nel campo della Fisica delle particelle. La palma d’oro va questa volta al satellite statunitense “Fermi”, realizzato con strumentazioni messe a punto dagli studiosi dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare , con il contributo dei ricercatori dell’Istituto nazionale di Astrofisica, e co-finanziato dall’Agenzia spaziale italiana. “Fermi” , lanciato nel 2008, ha captato nel Cosmo le tracce di protoni accelerati, confermando così l’esistenza dei potenti acceleratori cosmici, teorizzati, circa 60 anni fa, dal grande scienziato italiano premio Nobel per la Fisica nel 1938, Enrico Fermi. L’intervista a Patrizia Caraveo, responsabile Inaf per il satellite “Fermi”.
L’LHC, Large Hadron Collider, di Ginevra è il più grande acceleratore di particelle elementari del mondo, ma è poca cosa se messo a confronto con gli acceleratori cosmici, che lo scienziato italiano degli anni Trenta, Enrico Fermi, grazie ai suoi studi, aveva intuito esistessero.
I raggi cosmici che arrivano a cascata sulla Terra sono composti da protoni Ma questi protoni per muoversi a una certa velocità e per letteralmente “bombardare” il nostro Pianeta devono ricevere una forta energia che li spinga verso una certa traiettoria, anche fino a farli scontrare tra loro. Il meccanismo di accelerazione e scontro di protoni non è altro che quello applicato nell’LHC del Cern. Ma cosa nel Cosmo dà la spinta ai protoni? “E’ come in una partita di ping-pong: ci sono delle “racchette” che colpiscono i protoni”, afferma la scienziata dell’Istituto nazionale di Astrofisica, Patrizia Caraveo, che spiega come si è arrivati a dimostrare l’esistenza degli acceleratori cosmici, grazie ai satelliti “Fermi” e “Agile”. Lo studio è stato pubblicato lo scorso 15 febbraio sulla rivista Science.
Cosa sono queste “racchette” e dove hanno origine?
Queste “racchette” sono filamenti di materiale interstellare. La materia, nella nostra galassia e nelle altre galassie, quando si muove, trasporta il suo campo magnetico. Vi sono dei materiali che hanno il campo magnetico più elevato degli altri, parliamo in particolare di gas, di idrogeno. Ogni porzione di “nuvoletta” interstellare ha il suo campo magnetico. Queste “nuvolette” sono molto diluite nello Spazio interstellare e a volte vengono colpite da onde d’urto. Ad esempio quando esplode una stella, lo Spazio viene attraversato da queste onde d’urto che comprimono le “nuvolette” e le fanno diventare ciò che si vede spesso nelle foto astronomiche e cioè una specie di “bolle”, composte da filamenti. Questi filamenti sono delle strutture nelle quali la materia è un po’ più concentrata rispetto al resto dello Spazio, semplicemente perché è stata spinta da un’onda d’urto e quindi si sono formate zone a concentrazione più elevata di materia. Concentrazione di materia significa campo magnetico più alto. Visto che le particelle cariche reagiscono al campo magnetico e il campo magnetico fa loro cambiare la traiettoria, le devìa cioè fisicamente, è dunque il campo magnetico la “racchetta” che dà il colpo alle particelle.
Questo movimento è stato intuito da Enrico Fermi e recentemente due satelliti, a firma italiana, sono riusciti a dimostrarlo.
Sì. Questi due satelliti, andando a studiare i resti di “supernovae”, vale a dire i resti di un’esplosione di una stella, nella quale si formano i filamenti di materia e campo magnetico di cui parlavo prima, sono riusciti a vedere quella che si chiama la “firma” della presenza dei protoni. E questa è una cosa diversa. Nelle supernovae ci sono delle condizioni per accelerare diversi tipi di particelle, in particolare i protoni e gli elettroni. Gli elettroni sono particelle caricate negativamente duemila volte più leggere dei protoni. Quindi vengono accelerate e perdono energia molto più facilmente. E per questo motivo si possono più agevolmente rilevare. Mentre vedere i protoni è decisamente più complicato. Ecco perché è stato per così tanto tempo un problema. Seguendo un ragionamento molto bello, dal punto di vista della Fisica, fatto da Enrico Fermi, si poteva capire che i resti di supernovae potevano essere il posto giusto per accelerare i protoni, ma non si riusciva a trovare il modo per vederli e misurarli. Dunque, l’unico modo per rendersi conto che in una certa regione del cielo ci sono protoni accelerati, si è capito che sono i raggi gamma. I protoni, infatti, molto energetici, che realmente sbattono contro un altro protone, producono raggi gamma, ma particolari, che presentano una riga, perché hanno una specifica energia. Pertanto, se si notano raggi gamma di una determinata energia venire da una certa regione del cielo allora vuole dire che originano da protoni che si sono scontrati, e cioè protoni accelerati.
Quindi, riepilogando. La Terra è bombardata da raggi cosmici. Questi raggi cosmici sono protoni accelerati, come quelli dell’LHC (Large Hadron Collider) del Cern di Ginevra. Qual è l’acceleratore cosmico capace di dare una forte spinta ai protoni?
Sono probabilmente i resti di supernova, perché hanno dentro questi filamenti magnetici che possono accelerare i protoni, secondo un meccanismo che è stato proposto da Enrico Fermi alla fine degli anni Quaranta.
Con i due satelliti in orbita cosa allora è stato visto?
Con Agile, satellite finanziato dall’Agenzia spaziale italiana e realizzato da scienziati che lavorano sia all’Istituto nazionale di astrofisica sia all’Istituto nazionale di fisica nucleare, e con l’altro satellite, americano della Nasa, ma intitolato a Fermi, al quale l’Italia partecipa, che orbitano intorno alla Terra, a circa 500 km dal Pianeta, si è potuto captare i protoni accelerati, vedendo i raggi gamma che vengono da due resti di supernovae.
Questa conferma dell’intuizione di Fermi che cosa porterà d’ora in poi?
Diciamo che ha iniziato a risolvere un problema che girava da 100 anni, nel senso che a questo punto si ha la prova che i raggi cosmici effettivamente sono accelerati e dunque prodotti dai resti di supernovae. Adesso dovremmo cercare di capire i dettagli di questa accelerazione. Ma il fatto importante è che ora siamo sicuri che i resti di supernovae sono capaci effettivamente di accelerare i protoni.
Ed è anche una conferma del fatto che quello che viene riprodotto nell’acceleratore del Cern di Ginevra corrisponde a quanto avviene nel Cosmo, anche se ovviamente a una velocità notevolmente inferiore? Certo.
Forse di questa conferma non c’era bisogno, potrebbe dire lei.
No, anzi. Perché la chimica è quella che è. Per accelerare le particelle ci vogliono i campi elettrici e i campi magnetici.
Gli scienziati del Cern hanno più volte spiegato che nell’LHC, nel grande acceleratore di particelle, si cerca di riprodurre il Cosmo miliardesimi di miliardesimi di secondo dopo il Big Bang. Ora, due satelliti che orbitano intorno alla Terra sono riusciti a captare i protoni accelerati, gli stessi creati artificialmente al Cern. Questo vuol dire che la ricerca sta andando nella direzione giusta, che piano piano stanno arrivando conferme sulla materia e l’energia che popolano l’Universo. E se si pensa che i protoni ci attraversano, dopo essersi trasformati a contatto con l’atmosfera terrestre, e che grazie a loro i poli elettrici antagonisti, cioè di segno opposto, si scaricano, in modo da non respingersi, allora ciò che sembrava essersi appena dipanato torna a riaddensarsi, mantenendo ancora fitto il mistero della nostra vita.