di Bianca Biancastri
(b.biancastri@rai.it)
Cosa ci si può aspettare dalla nuova fase di trattative sul piano nucleare di Teheran? Sembra una partita a scacchi, che a volte si fa pericolosa, con uno dei Paesi più complessi da decifrare. L’ennesimo round si apre il 12 febbraio a Teheran con l’Aiea, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’energia atomica, e a fine febbraio con i sei mediatori internazionali del gruppo “5+1” (i cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e la Germania). Una mossa poteva giocarsi anche sul tavolo di colloqui diretti con gli Stati Uniti: la timida apertura alla proposta dal vice di Obama, Biden, nei giorni scorsi, è stata tuttavia subito gelata dalla Guida suprema dell’Iran, Khamenei, che di fatto determina le scelte politiche del Paese. Washington il 16 gennaio è tornata ad inasprire le sanzioni e Teheran il 23 ha avvertito che sono pronte nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Abbiamo chiesto al professor Stefano Casertano, analista politico ed economista, se c’è una reale possibilità di negoziato.
“Sì. Dipende dagli enormi cambiamenti in atto in tutta l’area. La Russia ha interesse a sostenere l’Iran, paese sciita, perché tramite esso può impiegare la componente sciita in Iraq e nel Sud del Libano per mantenere una presenza nel quadrante, anche disturbando la sicurezza di Israele. La guerra civile in Siria, con la caduta possibile del leader sciita Assad, e le prospettive di ribasso nel mercato del petrolio, hanno costretto la Russia ad adottare posizioni più morbide”.
Cosa pensa dei prossimi appuntamenti negoziali con Teheran?
“Sono negoziati importantissimi perché se l’Iran accetta di interrompere il programma nucleare militare, dovrà comunque essere inserito in un contesto geopolitico-energetico che gli assegni un ruolo. Da qui, la possibilità di inquadrare il Paese nel sistema energetico dell’Asia Centrale (con le repubbliche degli “stan”). Dopo questa ‘guerra diplomatica’ si tratterà di costruire la pace”.
La Guida Suprema Khamenei ha gelato l’apertura di Teheran ai colloqui bilaterali con gli Usa
“A livello popolare Khamenei deve uscire dalla crisi con la maschera del vincente, e accettare colloqui senza farsi un po’ desiderare politicamente sarebbe equivalso a una disfatta. La leadership deve giustificare in qualche modo mesi di sacrifici economici dovuti alle sanzioni internazionali”.
Questo approccio altalenante è legato anche alla scadenza elettorale di giugno in Iran?
“Il Paese era in crisi economica in alcuni settori già da prima delle sanzioni e della decisione Ue di non comprare il suo petrolio. Le piazze erano in tumulto e il potere era conservato solo con grande impiego di violenza. Si stanno avvicinando alle elezioni con estrema cautela”.
Con le elezioni presidenziali di giugno c’è una possibilità di ‘vento nuovo’, di cambiamento?
“E’ pressoché certo che assisteremo a un’altra esibizione magistrale di tecniche di imbroglio elettorale, come già nel 2009. Non è stata consentita l’emersione di alcun leader dell’opposizione credibile, anche con la minaccia di rappresaglie e arresti. Per questo, l’unico problema potrebbe essere quello di contenere una nuova insurrezione diffusa, se le urne confermassero l’esecutivo attuale. Peraltro, il cuore del potere non cambierà: teocrati e pasdaran conservano le redini dei principali soggetti economici: governo e parlamento sono solo istituzioni di facciata”.
La “guerra diplomatica” con l’Iran, che continua a negare di voler costruire la bomba atomica, va avanti da quasi dieci anni. Due le formule: quella più “politica” con il gruppo “5+1” e quella più “tecnica” con gli ispettori dell’Aiea che discutono con i rappresentanti di Teheran i problemi legati alla conformità con le leggi internazionali sull’attività nucleare. Le trattative con i sei mediatori internazionali si erano interrotte lo scorso giugno a Mosca. L’Iran ha respinto la proposta del “5+1” di sospendere l’arricchimento al 20% dell’uranio, di chiudere la centrale di Fordo e di esportare le sue riserve di uranio arricchito. Teheran auspicava di ottenere un ammorbidimento delle sanzioni e il riconoscimento del ‘diritto’ di arricchire l’uranio, negato da diverse risoluzioni dell’Onu. Negli ultimi mesi, visti gli insuccessi sul piano diplomatico, Israele ha più volte minacciato di attaccare siti nucleari iraniani.
Il prossimo 14 giugno, le elezioni presidenziali in Iran vedranno l’uscita di scena di Ahmadinejad che non può candidarsi per un terzo mandato. Ahmadinejad è stato negli ultimi anni al centro dello scontro politico con la Guida Suprema Khamenei per determinare se il potere dovesse restare nelle mani di rappresentanti religiosi o potesse passare progressivamente ai laici. In vista delle elezioni si moltiplicano le denunce di arresti e fermi di blogger e attivisti. Le sanzioni hanno avuto effetti sull’economia iraniana, sul potere di acquisto del rial e sulla qualità della vita degli iraniani. Teheran,inoltre, sta spostando le sue relazioni commerciali verso Oriente, con Cina,Giappone,Corea del Sud e India.
In assenza di un compromesso con l’Iran, grande è il rischio di una destabilizzazione dell’area. Sebbene per Usa e Europa l’unica strada percorribile sembri essere quella del dialogo, l’incognita resta la reazione di Israele che ha sempre considerato una eventuale bomba atomica della Repubblica Islamica una minaccia alla sua stessa esistenza.