Anna Maria Mori, giornalista e scrittrice


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Sono 'Nata in Istria' e sono italiana

Le foibe, l’esilio, la congiura del silenzio

di Paola Scaramozzino

“Quanto imbarazzo quando facendo delle pratiche mi chiedevano dove ero nata. A Pola rispondevo e automaticamente compariva sul computer dell’impiegato una striscia rossa che evidenziava un errore. Pola, ora si chiama Pula ed è in Croazia, fa parte delle città che alla fine della II Guerra mondiale e dopo il trattato del 1947 sono state cedute alla ex Jugoslavia. E’ come dire che io non sono più italiana”.

Così ci racconta Anna Maria Mori, giornalista, scrittrice, figlia di esuli Istriani che a questo argomento aveva dedicato già nel 1993 un documentario, ”Istria 1943-1993: cinquant'anni di solitudine” e poi “Istria, il diritto alla memoria” del 1997, entrambi trasmessi su Raiuno. Ci ospita nella sua casa, a due passi dal centro di Roma.

“Per anni ho cercato di rimuovere quella che è stata una tragedia familiare che ci ha allontanato da Pola e dal posto dove era nata mia madre , Lussinpiccolo, una località oggi della Croazia, situata sull’Isola chiamata dei Capitani perché c’era una scuola per capitani di lungo corso della marina mercantile. Mio padre non era istriano ma di Firenze, eppure si sentiva di appartenere a quel posto. Dopo l’esodo mia madre non ha fatto che piangere, non si è mai rassegnata”. E come lei chissà quanti altri profughi si sono portati nel cuore il grande dolore della perdita non solo di una casa, di un territorio , ma di un’identità. Ci sono dolori che ti invadono il cuore ma anche la testa, il corpo e così deve esser accaduto alla madre dell’autrice che racconta la storia della sua famiglia nel libro “Nata in Istria”, pubblicato nel 2006 dalla Rizzoli e uscito in questi giorni nell’ edizione tascabile Bur.

Quando si è saputo delle Foibe?
“ E’ accaduto come per i campi di concentramento nazisti, all’inizio gli ebrei stessi non ne parlavano . Dopo il trattato e con l’occupazione dei 45 giorni di Trieste, i titini nelle strade urlavano con gli imbuti perché non c’erano i megafoni, “Italiani fascisti andatevene” perché per loro tutti appartenevano a quell’ideologia e non era proprio così. Poi la gente scompariva di notte. Uomini, donne, bambini. All’inizio forse non si poteva neanche immaginare che le persone venissero gettate nelle foibe. E’ stata una pulizia etnica simile a quella perpetuata nei confronti degli ebrei anche se di dimensioni diverse. Un orrore evidente con i ritrovamenti dei poveri resti nelle fosse Carsiche. Quante persone sono state trucidate? Si può fare solo una stima, 10 mila forse. Chissà. Ad un cero punto si è capito che era in pericolo la vita di tutti e solo da Pola sono partiti in 30 mila verso l’Italia che ha accolto i profughi malissimo. La sinistra li considerava tutti fascisti e temeva che, testimoni del regime comunista di Tito, potessero raccontare che quello non era il “Paese avanzato” che i comunisti italiani tanto declamavano. Gli esuli sono stati abbandonati e criminalizzati. La destra li ha in qualche modo difesi e allora anche coloro che non erano fascisti, alla fine lo sono diventati. Una situazione imbarazzante anche per il governo di De Gasperi che non si espresse per non rompere gli equilibri con la Jugoslavia che aveva tagliato i rapporti con l’ Unione Sovietica. Una situazione davvero complessa ”.

Istituire la Giornata del Ricordo si può considerare un risarcimento morale per gli esuli e per le vittime delle foibe?
“Diciamo di sì, viene riconosciuto un fatto negato per 50 anni. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso parole durissime sul silenzio che c’è stato e che ha riguardato anche l’eccidio di Porzus, dove partigiani rossi uccisero partigiani bianchi. Fra questi Francesco de Gregori, zio e omonimo del cantautore e Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo. Diciamo che tutte le storie dell’Adriatico Orientale sono state in parte taciute”.

Che si prova a ritornare sui posti dove si è nati e cresciuti e sapere che non sono più tuoi?
“La tua Terra è un po’ come tua madre. C’è un’ appartenenza reciproca, profonda, la si sente dentro. Non è solo per il posto fisico, ma per tutto: odori, sapori, paesaggi. E poi per come sono fatte le case, i tetti a punta, l’architettura austroungarica. E c’è il mare. A Roma ci vivo da decenni , è una città bellissima, ma non è la mia. Mi sento fuori posto. Sempre”.

La Storia, le foibe: fra il 1943 e il 1947 sono fatti precipitare vivi e morti, quasi diecimila italiani.
La tragedia delle foibe si svolge in due tempi. Una prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell’ 8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano e poi gettano nelle foibe, le cavità carsiche profonde anche 200 metri, circa un migliaio di persone. La seconda fase che è quella più cruenta avviene nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, oltre 40 sacerdoti, donne, anziani e bambini. È un massacro che testimonia l'odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947 quando viene fissato il confine fra l' Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.
Nel febbraio del 1947 l'Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l' Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza né dalla sinistra, né dalla destra e dallo stesso governo di De Gasperi.

I profughi
Le foto datate 1947 più che le parole possono descrivere la disperazione di uomini, donne, bambini, interi gruppi familiari e anziani costretti a lasciare quella che era la loro patria per un’altra Italia che provata dalla guerra, non desiderava altre bocche da sfamare. Al dottor Marino Micich , figlio di esuli dalmati, direttore dell’Archivio Museo storico di Fiume, Segretario generale della Società di Studi Fiumani, presidente dell’Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e dalmata nel Lazio, chiediamo se c’è stato un risarcimento per tanto dolore. “Quando si parla di vite umane non ci può essere alcun risarcimento. Il riconoscimento della “Giornata del Ricordo” il 10 febbraio di ogni anno, è stato un passo avanti notevole dopo che per 50 anni si è negata la tragedia delle foibe e degli esuli”.

In Campidoglio è stato firmato proprio alcuni giorni fa un protocollo d’intesa per la nascita della “Casa del Ricordo”, a via San Teodoro a Roma.
“ Sì, un altro riconoscimento per tutte quelle persone che hanno dovuto lasciare, case, attività, affetti, ricordi. L’esodo che fu di 350 mila persone iniziò nel 1945 e si può affermare che si concluse negli anni ’50. Nel 1947, subito dopo la firma del trattato di Parigi, ci fu il numero più massiccio di profughi. Partivano con le loro poche cose imbarcandosi sulle navi verso l’Italia che li accolse malissimo. Erano considerati cittadini di serie B e la loro tragedia imbarazzava sia la destra che la sinistra che l’allora governo democristiano di De Gasperi. Si è preferito ignorarli per decenni. Addirittura ci furono manifestazioni ostili al passaggio dei treni dei profughi come quello avvenuto alla stazione di Bologna il 17 febbraio 1947: Un treno che trasporta un folto gruppo di esuli sbarcati il giorno precedente ad Ancona rimase bloccato per ore sui binari da una protesta dei ferrovieri bolognesi, che non permettono lo svolgimento di nessuna operazione di soccorso e di approvvigionamento, costringendo così il convoglio a proseguire per Parma dove furono poi soccorsi”.

Sono stati 109 i campi profughi sparsi in tutta Italia e per il 70% situati al Nord che hanno accolto gli esuli che con il tempo si sono integrati nel tessuto sociale. Ma la ferita del loro passato è rimasta a lungo aperta proprio perché per decenni gli è stato negato il riconoscimento della tragedia vissuta. A Roma esiste ancora oggi il villaggio Giuliano-Dalmata nato da una vecchia fabbrica dismessa nella zona dell’ Eur. “E’ il quartiere 31 della Capitale – ci dice Micich- e comprende la zona della Cecchignola e Fonte Meravigliosa. Non dobbiamo dimenticare che gli esuli non erano tutti triestini, dalmati o fiumani. Fra di loro anche calabresi e siciliani che erano andati in quelle zone per lavorare. C’è poi un numero imprecisato di persone che non rientrarono proprio in Italia ed emigrarono in America e in Australia”.

C’è stato mai un compenso economico per gli esuli?
“Un minimo di 7,8 mila euro che è davvero niente se si pensa che con tutto ciò che hanno lasciato nei territori diventati poi Jugoslavi si sono pagati i debiti di guerra. Comunque con il Giorno del Ricordo è stato restituito a molti almeno la dignità e soprattutto non si è dimenticata la grande tragedia delle foibe”.

Un silenzio durato quasi 50 anni. Ne parliamo con lo storico Giovanni Sabbatucci. Un silenzio ingombrante e pesante come un macigno quello che è calato per quasi 50 anni sulle foibe e sui profughi giuliano dalmata . “I motivi sono diversi – spiega il professore Sabbatucci - il primo è psicologico: si usciva dalla sconfitta di una guerra e si volevano lasciare alle spalle tutte le tragedie legate ad essa. Si guardava avanti. Poi il momento era difficile e altre bocche da sfamare, erano 350 mila i profughi dell’Istria e della Dalmazia, non erano certo ben accette. Inoltre c’erano ragioni i ideologiche e di Governo”.

Si può dire che le Foibe imbarazzavano sia la destra che la sinistra?
“Sì, se per questo anche la stessa classe dirigente democristiana con a capo De Gasperi, preferì tacere sia sulle Foibe che sui profughi considerati cittadini di serie B. I comunisti temevano da parte loro che gli esuli potessero raccontare che il territorio da dove erano fuggiti non era assolutamente il “paradiso comunista” che tanto si declamava . I neofascisti, dall’altra parte, non erano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della II Guerra mondiale nei territori istriani dato che fra il 1943 e il 1945 erano sotto l'occupazione nazista, in pratica annessi al Reich tedesco”.

“ È una ferita ancora aperta “perché è stata ignorata per molto tempo e solo da poco è iniziata l’elaborazione”, sostiene il professore Sabbatucci. L’addio dalle proprie case e dai loro paesi, la cattiva accoglienza in Patria, i rifugi nelle caserme, in baracche, in villaggi nati in campi sportivi. Stanze divise con cartoni e coperte usate come tende. Uomini e donne separati in alloggi diversi, famiglie smembrate. I profughi hanno pagato più di altri la sconfitta della guerra. Con la legge del 2004, il Parlamento italiano decreta il 10 febbraio come “La giornata del ricordo” delle vittime delle foibe.