di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)
Jake Bugg – Jake Bugg (Mercury)
“E’ il futuro della musica, è come se Bob Dylan incontrasse gli Artick Monkeys”. Parola di Noel Gallagher, leader degli Oasis, che ha disegnato così l’avvenire di Jake Bugg, imberbe diciottenne di Nottingham, all’esordio con l’album eponimo. Un po’ più di prudenza non avrebbe guastato, visto l’immane termine di paragone, ma ogni volta che spunta qualcuno con le vaghe fattezze del vecchio menestrello di Duluth, tutti perdono il senso della realtà. Si spera nell’iterazione genetica del miracolo ma, si sa, le combinazioni del Dna sono miliardi, è più facile che si avverino le profezie di Nostradamus o di Frate indovino, piuttosto che venga ripartorito un Bob Dylan 2.0 . Detto questo, il giovanottello, che assomiglia come una goccia d’acqua a Justin Bieber e che potrebbe rappresentare l’icona giovanile perfetta per un film di Ken Loach ambientato nella periferia inglese in mattoni di arenaria, è uno che ha le idee chiare. Odia i talent show, confessa di aver ascoltato poco Dylan ma di amare gli Oasis, che non a caso se lo sono portato in tour, quasi come fosse una mascotte. La Bbc lo ha adottato e imposto al festival di Glastonbury, e il resto è venuto da sé. I media lo hanno osannato, ed è diventato la “ new big thing” del 2012. Il momento, bisogna ammetterlo, è favorevole. La musica usa e getta sta mostrando la corda, il movimento neo-folk favorisce il fiorire di piccoli fenomeni da brufoli e ciuffo al vento, ma va bene così. Jake Bugg ricorda Dylan , è vero (“Simple as this”), ma “Counry song” e “Someone like me” sono una xerox di Paul Simon , mentre “Two fingers” avrebbero potuto scriverla Lennon e McCartney ad inizio carriera. Alcuni episodi vanno indietro nel tempo, da Buddy Holly (“Taste it”) fino a Robert Johnson e Hank Williams (“Fire”, ) anche se poi, per contrasto, “Seen it” suona come gli Oasis. Insomma, c’è tanta carne al fuoco, ma chiedere ad un diciottenne di essere originale quando tutto è stato già scritto, è come chiedere ad un neo-poeta di astenersi dal citare la Divina Commedia o l’Odissea. “Jake Bugg” non è capolavoro, ma l’onesto e promettente esordio di un ragazzino che legge il passato più che il futuro. In fondo è giusto che sia così. I teen-agers devono ascoltare la musica fatta da uno di loro. Poi, magari, vanno a cercarsi l’originale.
The Vaccines – Come of age (Columbia)
A proposito di next big thing, anche il giovane quartetto londinese dei Vaccines ha potuto beneficiare dell’appellativo affibbiato dalla stampa anglosassone alle nuove leve dal futuro radioso. Due album in due anni, il primo dall’approccio ribelle e scanzonato, il secondo più studiato e rifinito. “Come of age” è una sorta di betoniera dove viene mescolato un po’ di tutto, dal rock’n roll anni ’50 al sound di Phil Spector, dal punk all’hardcore, dal brit-pop al garage. Il che, allo stesso tempo, è la forza e la debolezza dell’album, dove si viaggia sulle montagne russe del suono. Grande varietà tematica, ma assenza di una linea programmatica. “Come of age” si potrebbe dividere in due parti, una filo-anni ’60 ed una più legata alla dark-wave del nuovo secolo. Peccato veniale, correggeranno il tiro quando cominceranno a guardare dentro il loro giardino. Nonostante questo Justin Young e soci divertono, fanno ballare e mettono allegria, nonostante le faccette da sfigati di periferia. A volerli catalogare si potrebbero accostare agli Strokes, e inserirli nel filone assai indefinito del brit-pop. “Come of age” mostra parecchi limiti, soprattutto di scrittura, ma ha il pregio di mettere di buon umore l’ascoltatore e di invitare a muovere piedi e fianchi.