Mestieri che scompaiono: restaurare giocattoli


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Casa di bambole

Pierina Cesaretti: gioia di regalare felicità a piccoli e grandi c

di Paola Scaramozzino

E’ un pomeriggio di pioggia intensa a Roma. La gente su via Flaminia corre veloce verso Piazza del Popolo. Davanti alla grande vetrina del negozio-laboratorio di bambole, mamme e bambini si fermano. Occhi spalancati, bocca semiaperta. Sembra di vedere una foto di un’altra epoca ma non è così: le piccole di oggi non sono molto diverse da quelle dei tempi passati. Le bambole incantano. Ce ne sono un gran numero e di diversi materiali: bachelite, celluloide, porcellana, plastica. Gli occhi delle bimbe parlano da soli: ne vorrebbero una, “proprio quella” e il sogno a volte si realizza. Ad aprire la porta della riconosciuta “bottega storica” della Capitale, la signora Pierina Cesaretti, “la dottoressa delle bambole e degli orsacchiotti” come l’hanno soprannominata anche se più che un medico che ripara e restaura pupazzi, sembra una fatina dalle mani magiche che con ago e filo è capace di rifare in pochissimo tempo l’abito originale di una vecchia bambola, ricomporne la capigliatura, aggiustare un braccio, rifarne il corpo.

La clinica delle bambole- racconta la signora Pierina- è un’attività che nasce nel 1939 nel rione Monti, a via Magnanapoli, da un signore che faceva il restauratore di giocattoli. Io e mio marito Angelo nel 1987 abbiamo rilevato il laboratorio, ne abbiamo fatto un negozio di souvenir ma i clienti continuavano a portare bambole e cavallucci a dondolo da riparare, così ho studiato, mi sono applicata e sono diventata io la restauratrice di bambole. Da qualche anno ci siamo trasferiti qui, in via Flaminia, 58A ma mi piange ancora il cuore…..Non è stato un trasloco volontario, la storia è lunga ma praticamente ci hanno cacciato da quel locale. Poi, dopo una trafila incredibile, il sindaco Alemanno ci ha trovato questo spazio, per carità lo ringraziamo ma ho molta nostalgia della vecchia sede”.

La signora Pierina non lo dice ma ha combattuto come una leonessa per non far chiudere questa attività. E alla fine ha vinto. Il laboratorio è strapieno di bambole di tutte le epoche e di tutti i colori. Sono disseminate ovunque. Si salvano in bell’ordine solo alcune di famose collezioni che sono in mostra all’interno di tre vetrine.

Quelle in porcellana sono le più antiche, 1810. Poi ci sono le Lenci, 1930 e poi quelle del dopoguerra di celluloide, materiale vietato in seguito perché incendiabile. Ci sono anche dei cavalli a dondolo e delle carrozzine primi ‘900 sopra quella mensola” ci mostra Pierina. E da una parte, in un angolo, braccia, gambe, teste di bambole che potrebbero servire ad aggiustarne altre. Poi tante scatole: quelle con i calzini, le scarpe , i cappelli, le stoffe antiche che potrebbero servire per confezionare un abito.

Mentre parliamo, il signor Angelo, anche lui Cesaretti di cognome, accoglie i clienti. Entra una bambina sui 5 anni che viene da Cagliari. La signora Pierina le va incontro, la prende per mano e la porta a fare un giro fra le tanta bambole accatastate per terra, sui mobili.
Quale ti piace? Piccola o grande?” chiede Pierina che se non fosse per l’età, con la sua figura esile, sembra lei una bimba come le sue giovani clienti. “Piccola” risponde la bimba.
E poi deve avere i capelli lunghi o corti?” continua a chiedere con estrema grazia. Lunghi, risponde lei. E inizia la scelta. La signora Pierina con tanta pazienza prende cinque, sei bambole di plastica e le mostra. “Questa- dice la ragazzina – senza esitazione e puntando il dito su una bambola dai capelli rossi. “Però volevo le scarpe lucide e nere e un bel fiocco in testa”. “Non ci sono problemi. Adesso provvediamo”, la rassicura Pierina. Apre le sue scatole e trova delle scarpine di coppale nero e un bel fiocco rosso. La bimba è contenta. Prima di uscire alcune raccomandazioni su come tenerla e soprattutto vuole sapere il nome che le darà. “Angelica, risponde. Si chiamerà Angelica”. Riprendiamo il colloquio.

Negli anni ho accumulato tante di quelle bambole che anche la mia casa è piena ma in questo modo ho i pezzi da sostituire nel caso ne avessi bisogno. Facciamo restauri di ogni genere e se ce n’è bisogno le costruiamo magari per rappresentazioni teatrali o cinematografiche”. Entra una bella signora di più di 70 anni portati benissimo malgrado si muova aiutata da un bastone. Trascina due ingombranti scatole che fa aprire con cura.

Questa è una Bonomi” esclama la signora Pierina”. “Sì, è stato il primo regalo di mio marito. Tengo a queste bambole come ai miei figli. Ha più di 60 anni. Bisogna pulirla e rifargli l’abito. Aveva un paltoncino rosso scozzese e un vestito rosso e bianco. Le scarpe si sono perdute…. Poi questa ballerina di porcellana: il tutu è rovinato, è di piume di struzzo. Si può rifare così, lo stesso color rosa? Io la conosco da quando stava nel quartiere Monti, mi fido solo di lei”, dice la signora che nel frattempo è stata invitata a sedersi su una poltroncina. La signora Pierina prende in mano le bambole, “le visita” accuratamente: testa, occhi, arti. “Bisogna ritoccare le ciglia e rifare l’acconciatura, per il resto, bisogna trovare una stoffa scozzese classica. Paltoncino con maniche di pelliccia e sotto abitino giro collo e senza maniche rosso tinta unita. Le scarpe bianche o nere? Io direi bianche come la pelliccia che metteremo sulle maniche” suggerisce Pierina. La signora, orgogliosa di essere romana di Testaccio, annuisce e racconta pezzi di vita. “Quando avevo i figli piccoli, le bambole stavano in mezzo al letto e i bambini si mettevano ai piedi e le guardavano piangendo perché era vietato toccarle. Se non facevo così –replica- non sarebbero certo durate così tanto”.

Più che un laboratorio a questo punto “La clinica delle bambole” sembra un salotto casalingo dove chiunque, una volta superato l’ingresso, si sente di tornare bambino, senza pudori, senza filtri da adulto. La gente si racconta e Pierina e il signor Angelo stanno lì, parlano, consigliano, partecipano alla vita dei grandi e soprattutto regalano sogni ai bambini con una grande felicità nel farlo. Se pensiamo che il guadagno di questa attività è irrisorio, questo lavoro possiamo dire che continua solo per amore.