Musica - i consigli della settimana


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Sexy jazz ‘n rock

L’estetica glamour al servizio della musica

di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)  

Diana Krall – Glad Rag Roll (Verve)

“Glad rag roll” andrebbe acquistato solamente per la copertina. L’immagine della jazz singer Diana Krall in guepiere e calze di seta innesca il movimento di una considerevole quantità di testosterone. Meriterebbe un posto sul comodino, accanto alla sveglia. Non che sia una novità, per la cantante canadese, già portata all’altare da Elvis Costello. La signora non ha mai lesinato con i centimetri di pelle esposta, potendoselo peraltro permettere. E ben sapendo che il suo look da raffinata seduttrice non avrebbe distolto più di tanto l’attenzione del pubblico dal contenuto dei suoi solchi, per usare un termine ormai obsoleto. Perché proprio di solchi si tratta. La Krall è andata a recuperare nei vecchi bauli impolverati da anni di soffitta i vecchi 78 giri di suo padre, di quelli che i bambini sono costretti ad ascoltare loro malgrado e che gli rimangono appiccicati nella memoria come la gomma americana ai banchi di scuola. Roba vecchia, insomma, canzoni senza tempo che negli anni venti e trenta disegnavano le atmosfere e le nuvole di fumo di quei club a frequentazione nera, dove si è formata la spina dorsale della musica che ascoltiamo oggi, in tutte le sue innumerevoli declinazioni. Così, dopo aver collaborato con Paul McCartney in una operazione molto simile, quel “Kisses on the bottom” nel quale l’ex Beatle ha recuperato gli standards amati dal padre, la bionda pianista ha deciso anche lei di dedicare l’undicesimo capitolo della sua carriera al vecchio genitore, affidandosi alle cure di T-Bone Burnett, il re Mida dei produttori, rinunciando alle swingate al piano in favore della straordinaria chitarra di Marc Ribot, già collaboratore di mister Costello, Tom Waits e Marianne Faithfull. Tutti i brani coprono l’arco temporale 1920-40, tranne “Lonely Avenues” di Doc Pomus, tardi anni ’50. Musica seducente, con quasi un secolo di vita sulle spalle, ma svecchiata e ritoccata con grande sapienza, senza sporcare. La Krall butta via la divisa della jazz-singer ed indossa i panni da diva del burlesque, con i quali va a cimentarsi con il blues, il folk, il minstrel, il rag, il vaudeville, lo swing, come se lei, gli anni trenta, li avesse attraversati davvero, con la stessa meraviglia e naturalezza di Owen Wilson in “Midnight in Paris” (Woody Allen). Forte della lezione del coniuge, la Krall sfodera una voce più agile e sensuale del solito, perfettamente in tono con l’icona sexy da Jessica Rabbit in carne ed ossa che ha diffuso in questi anni. Album “blue”, bello e malinconico, nostalgicamente moderno, da catalogare fra la sezione “jazz” e quella “altro”.

Beth Hart – Bang bang boom boom (Mascot)

Guepiere e calze di seta anche per Beth Hart, esplosiva rockeuse losangelina, reincarnazione, nei limiti del possibile, di quell’icona del rock al femminile che è stata Janis Joplin. Non a caso è stata proprio lei ad interpretare la parte della scomparsa cantante texana nel musical di Broadway “Love janis”. Quarant’anni, da venti sulle scene, figlia di un talent show televisivo, Beth Hart ha avuto un successo inversamente proporzionale alle sue (grandi) doti artistiche. Otto album all’attivo, in alcuni dei quali sono riposte perle assolute (“I’m I the one”), ma di altalenante standard qualitativo, condizionato per lunghi periodi dalla fragile personalità della ragazza, poco allenata a reggere la pressione dello showbiz. Adesso, almeno per il momento, Beth Hart abbandona l’immagine selvaggia e ribelle della capobanda per disegnarsi addosso quella da femme fatale, anzi, della dark lady anni ‘40’, guardare il video della title-track per credere. Una traslazione estetica non da poco, molto più comprensibile in Diana Krall, che almeno è dotata di una colonna sonora molto più languida e carezzevole, ispiratrice di pensieri assai peccaminosi. Inaspettato, invece, il cambio di stile di Beth Hart, che non immaginavamo nei panni di seduttrice, quanto piuttosto in quelli di una Calamity Jane del rock. Per passare alla sostanza, “Bang bang boom boom” è un album di notevole spessore. A parte la title track, che serve a tirare la volata, e qualche altro episodio sottotono, il primo capolavoro è “Caught in the rain”, un blues di intensità stordente, nel quale la ragazza si allunga fino a toccare le vette sonore delle divine Etta James e Bessie Smith. Paragoni forse azzardati, ma servono a far capire in che parte del mondo siamo. A seguire, altra perla, “Swing my thing back around”, roba da big band anni ’30, come se Bill Evans campasse ancora, e poi una serie di ballate strappacuore und mutande (“There in your heart”) che giustificano lo scontrino fiscale. Insomma: mescolate insieme Janis Joplin, Annie Lennox, Etta James e Adele, ed avrete Beth Hart