di Emanuela Gialli
(e.gialli@rai.it)
Si è chiusa l’ottava edizione del Festival delle Scienze di Roma. Quattro giorni di confronti, dibattiti, incontri scientifici intorno al tema della felicità. Coniugata con piacere, coraggio e misura, gioco, medicina e religione, sesso, conoscenza e con democrazia, la felicità, così come l’ha rappresentata, e fatta intuire, il Festival, è uno stato soggettivo, ma anche un elemento concreto del vivere civile, una attitudine all’armonia e una ricerca del sapere. Nell’ultima giornata vi è stato un rimbalzo comunicativo tra piacere, biologia, filosofia, scienza ed economia. Televideo ha intervistato i protagonisti di questa sessione conclusiva.
Davide Coero Borga è un giovane comunicatore della scienza. Disegna e produce giochi e giocattoli di scienza.
La sua attività sembra legata più al virtuale che al reale. Lei si muove nell’ambito dei giochi e dei giocattoli in particolare, che sono il simbolo di cosa? Degli istinti, della coscienza, o della mente, tesa alla ricerca della felicità?
Qui ho cercato di affiancare il tema della felicità con quello del gioco. E sono partito da un libro che ho appena pubblicato, con Codice edizioni, “La scienza da un giocattolaio”, che è un vero e proprio catalogo di giocattoli famosi, dall’hula-hop al frisbee, dal meccano ai lego, dalla barbie ai transformer, per raccontare quanta scienza c’è dietro questi oggetti che siamo abituati a indicare come semplici ninnoli per infanti. Invece, dietro ciascuno di loro, ci sono delle storie di scienza. Ad esempio, ci sono alcuni strumenti scientifici che sono stati promossi al rango di giocattoli, come il mappamondo, il telescopio, la bussola. Poi invece vi sono alcuni giocattoli promosso al rango di strumenti scientifici, come i lego.
E la barbie, che è nata in un periodo storico in cui la donna era vista come interprete della moda e nel suo prevalente aspetto esteriore?
Sì è vero. Ma poi se andiamo a vedere la collezione della barbie vediamo che accanto alla versione modaiola, troviamo la barbie chirurgo degli anni ’70, o la barbie astronauta dei primi anni Settanta.
Qui al Festival delle Scienze di Roma avete dato spazio anche ai sex-toys.
Questi giocattoli riguardano la sfera adulta, che si ricollega a quella fanciullesca, per la curiosità e la voglia di giocare anche nell’ambito sessuale. Consideriamo che in questo settore la tecnologia è andata avanti nello studio e nella realizzazione di materiali compatibili e organici, dal titano chirurgico al silicone medicale.
Giocattoli, piacere, tecnologia. Il passo in avanti è verso il “big bang” dal quale il mondo ha avuto origine, secondo una teoria ormai ampiamente provata e dimostrata.
Amedeo Balbi è astrofisico, ricercatore al Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma Tor Vergata. Ha lavorato alla Berkeley University, al FermiLab e al JPL della Nasa.
Come lega gli studi sull’origine del mondo e la felicità?
I temi si collegano innanzitutto perché noi veniamo da lì. La felicità che proviamo a cercare la cerchiamo dentro questo universo che avuto origine dal big bang. Il mio punto di vista di scienziato è quello di far capire che la felicità ci viene proprio dal capire l’Universo che ci circonda. Una parte della felicità viene dall’assecondare la propria curiosità cercando di capire le cose.
Qual è il messaggio che vuole mandare a chi partecipa?
Che essere curiosi e cercare di capire le cose che abbiamo intorno può essere una strada per essere se non “felici”, questa è una parola grossa, sicuramente meno persi nel mondo e più soddisfatti di quello che viviamo.
Vittorio Bo, direttore del Festival delle Scienze di Genova, direttore scientifico del Festival di Roma, professore universitario.
E’ contento dell’affluenza a questa edizione?
Sono più soddisfatto dello scorso anno. Le sale sono state tutte piene. Sicuramente per l’interesse verso un tema così largo.
Forse perché si cerca così tanto la felicità…
Anche, è vero. Comunque quello che mi ha stupito è stato il livello di attenzione.
Qui siamo in una nicchia o questo dimostra che gli italiani sono più intelligenti di quanto alcune volte la televisione pensi?
Certamente, gli italiani sono più intelligenti di quanto non so se la televisione soltanto pensi. La tv si può accettare o no. Io credo che il problema sia che coloro i quali dovrebbero pensare alla politica culturale non siano così attenti ai fenomeni che la società esprime. Nell’incontro di giovedì scorso su democrazia e felicità, con il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, Gustavo Zagrebelsky sottolineava del ritorno alla capacità di esprimere e riconoscere la novità, la freschezza, la leggerezza delle idee. I confini culturali oggi dimostrano una ampia vitalità. Per questo io credo che dobbiamo da una parte “costringere” i politici ad ascoltarci un po’ di più. Io sono rimasto sorpreso che a una conferenza come quella di venerdì 18 gennaio, con l’economista indiano, premio Nobel nel 1998, Amartya Sen, su disuguaglianze e infelicità, un tema estremamente attuale, non ci fosse alcun politico. E non solo per rispetto a un grande premio Nobel, ma anche perché parlava di argomenti di attualità stringente. Amartya Sen ha detto: “State attenti, che qui le misure restrittive sono esagerate, stanno facendo male all’economia”. E parlava dell’Italia. Io spero che nel prossimo futuro, il più vicino possibile, si possa pensare, non solo sperare vagamente, che nel nostro Paese ci siano maggiori forme di “economia della cultura”.