di Roberta Balzotti
(r.balzotti@rai.it)
L’appuntamento è per l’estate: 12 luglio, in piazza del Plebiscito, a Napoli. Pino Daniele torna in uno dei luoghi simbolo della sua città con “Napule è – Tutta n’ata storia” (biglietti in vendita dal 19 gennaio), a cinque anni dal concerto con il quale, sempre lì, nel 2008, festeggiò i 30 anni di carriera. Proprio quell’evento musicale storico è racchiuso nel cofanetto (cd+dvd) “Tutta n’ata storia – Vai mo’ – Live in Napoli”, in uscita martedì 22 gennaio, che contiene anche due brani inediti con Phil Palmer.
In quel concerto, Pino Daniele aveva con sé, sul palco, oltre agli ospiti, colleghi ed amici con i quali da sempre condivide suoni e vita e che ci saranno anche questa volta: quella generazione - nomi come Enzo Gragnaniello, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, James Senese, Rino Zurzolo, Tony Cercola e tanti altri - che dagli Anni ’70 ha caratterizzato il “Neapolitan sound”.
“Oggi siamo più maturi, ci divertiamo con consapevolezza diversa – dice Pino Daniele – Quando eravamo più giovani c’era soprattutto il discorso discografico, la soddisfazione di cantare in napoletano a livello nazionale. Ma il divertimento c’è ancora, è fondamentale. E si vede sul palco”.
Il cantautore partenopeo, che ha avuto ed ha collaborazioni internazionali, vive il rapporto con Napoli come un impegno: “L’impegno a portare il nome della mia città e della sua creatività nel mondo, perché portare Napoli all’estero è portarci l’Italia”. E, per essere impegnati, “non bisogna fare a tutti i costi la telecronaca di quello che accade”, sostiene. “Molti artisti, anche stranieri, leggono il giornale per ispirarsi. Io ascolto, non leggo. Sono di pancia, istintivo, con il rischio di ripetere cose che ho memorizzate e già dette”.
Essendo ormai a ridosso del Festival di Sanremo, immancabile un passaggio sulla maggiore manifestazione canora italiana: “E’ un palinsesto televisivo, l’intrattenimento ha più spessore della musica. Ma se c’è qualcosa di buono viene sempre fuori”. E, restando sempre in tema di tv, dei talent dice: “E’ un nuovo modo di proporre artisti: più che per contenuti artistici, per prestazioni tecniche”. Ha visto quelli americani e quelli inglesi, ma non farebbe mai il giudice: “Non mi piace giudicare. Non sono capace. Mi dispiace quando vedo quei giovani che piangono per una critica, un’osservazione”. Con due figlie dei talent, Emma Marrone e Alessandra Amoroso, ha recentemente suonato: “Sono straordinarie, bravissime, disinvolte sul palco, senza paura. Sarà che io sono sempre insicuro – confessa – e vedere queste ragazze mi ha dato un po’ di coraggio”.