di Sandro Calice
di Olivier Assayas, Francia 2012 (Officine Ubu)
Fotografia di Eric Gautier
con Clément Métayer, Lola Créton, Félix Armand, Carole Combes, India Menuez, Hugo Conzelmann, Mathias Renou, André Marcon, Marco di Giorgio.
“Qualcosa nell'aria” non è un film sul ’68, perlomeno non nel senso di documento storico. Nonostante la minuziosa e colta ricostruzione compiuta da Assayas sulla base della sua memoria e quindi della sua autobiografia, infatti, “questo film – dice il regista – è un omaggio alla controcultura, all’underground, e riguarda l’arte o come vivere nell’arte”.
La storia si apre sulla manifestazione del 9 febbraio 1971 a Place de Clichy, a Parigi. Gilles è un liceale preso nel gorgo politico e creativo dell’epoca, diviso tra impegno, storie d’amore e la sua passione per la pittura. Insieme agli amici di sempre intraprende un cammino che li porterà dall’Italia a Londra, con amori che cambieranno, strade che si divideranno, pericoli, esaltazioni, sconfitte e sogni. Non esiste (non poteva esistere) un sogno comune, oltre ovviamente il mito della rivoluzione. E ognuno dovrà, rischiando e in autonomia, scegliere il proprio destino.
Assayas (“L’acqua fredda”, “Irma Vep”, la miniserie tv “Carlos”) dice di credere poco all’autobiografia al cinema: i ricordi sono sempre “deformati, idealizzati, soprattutto quando si tratta dell’adolescenza”. E però in questa sorta di romanzo di formazione il regista mette un po’ di sé e della sua storia in ognuno dei personaggi. E ogni dettaglio è ricostruito con attenzione, dalle ambientazioni alle atmosfere, dalla free press alle parole, dai libri alla musica (ricercatissima la colonna sonora, con Assayas che ricorda: “La vera musica dell’estrema sinistra non era il rock, ma il free jazz”). Ne viene fuori il ritratto di un epoca densa di contraddizioni, piena di possibilità ma senza grande gioia, e forse anche “ottusa”, come solo ideologia e adolescenza sanno essere. Gilles, il protagonista, passa dalle parole d’ordine della rivoluzione al primo dubbio instillato dal libro di Simon Leys “Gli abiti nuovi del presidente Mao”. Contesta e critica il padre, sceneggiatore di serie tv su Maigret, ma è poi verso il cinema che va (e quando chiede a un compagno di strada se può usare la telecamera per fare un film di quell’esperienza, si sente rispondere: “Noi facciamo agit prop, non fiction”). Partecipa a volantinaggi e atti dimostrativi, ma resta sempre un passo indietro, ama le donne che incontra ma poi non ha il coraggio di lasciare la sua strada, che sente essere quella dell’arte. Gilles insomma è un tipico adolescente, uno che dice: “Vivo nell’immaginazione e se la realtà bussa alla mia porta, non apro”. E forse il merito maggiore di “Qualcosa nell’aria”, premio per la migliore sceneggiatura alla 69esima Mostra del cinema di Venezia, è proprio quello di fotografare una generazione che richiama, inevitabilmente, il paragone con quella attuale e con i clichés che il cinema gli appiccica addosso. Su chi stia “meglio” ognuno potrà dire la sua.
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