di Rita Piccolini
Invecchiare è un privilegio. E’ questa la riflessione al termine della lettura di questo racconto autobiografico fatto di frammenti. Brevi racconti di cui colpisce l’immediatezza delle immagini e la semplicità del linguaggio. Una narrazione piana e lineare di chi ha chiaro in testa quello che vuole dire senza parafrasi, né arzigogoli, né giri di parole.
E quello che più colpisce è la premessa che l’autore fa all’inizio del suo viaggio nella memoria. Olmi ha quasi 82 anni e con serenità scrive:”Alla mia età non ci si può più misurare con un futuro sconfinato come quando da bambini non si aveva ancora la percezione del tempo… So che da adesso in poi il mio futuro è anche il mio congedo… Adesso la mia vita viene a chiedermi conto di come l’ho vissuta”.
Così comincia il suo percorso narrativo che non vuole dare vita a un romanzo auto- biografico di cui essere il protagonista, ma piuttosto legare insieme ricordi che vadano a ricomporre il puzzle della sua vita, descrivendo situazioni e emozioni della primissima infanzia, o dell’adolescenza, dei primi amori e delle prime esperienze di lavoro e cinematografiche, senza mai perdere di vista il presente, la realtà attuale dalle cui insidie ci mette in guardia, perché accontentarsi come si fa oggi del male minore è il segnale inequivocabile di un declino che incombe.
Ma contro il declino c’è un antidoto: l’eterna lezione della terra con il ciclo delle sue stagioni e il suo naturale farsi e disfarsi. Scrive Olmi sempre nelle breve pagina introduttiva: “Se potessi ricominciare daccapo, cercherei di capire gli animali, gli alberi, le stagioni, i colori, il giorno e la notte. Perché gli uomini rimarranno sempre un enigma”.
Un elemento è tuttavia costante nel fluire dei brevi racconti:l’amore per il mondo contadino e la sua millenaria cultura. Olmi, come ha fatto nei suoi più celebri film, coglie gli ultimi echi della civiltà rurale e della saggezza che da questa cultura fluisce. Un senso di serenità, di pacatezza, di fiducia, di poesia, di incanto, di profonda spiritualità: sono queste le sensazioni che l’autore ci comunica, descrivendo con nostalgia la dimensione contadina di parte della sua infanzia. Emblematica è in questo senso la figura della nonna, quella che aveva spiegato a lui piccolissimo il perché dei suoi capelli rossi: non era nato sotto un cavolo come tutti gli altri, ma sotto una pianta di pomodori. La nonna vestita sempre di nero con due soli scialli, uno per la festa, l’altro per la vita di tutti i giorni. La nonna che accettava “il bene, il male, la salute, la malattia, la nascita, la morte come ineluttabili” e tutti quei valori che la nuova ricchezza, quella del boom economico degli anni Sessanta, stava cominciando a dissolvere, primo fra tutti il territorio e la sua integrità.
L’autore previene la critica di sentimentalismo nostalgico che può essergli rivolta e scrive: “Sentimentale è un aggettivo che non mi piace. Io sono un uomo di sentimenti…i sentimenti che amano il silenzio e la riservatezza:vogliono essere riconosciuti e custoditi”. Nel libro si raccontano amori e grandi amicizie, come quella con Rossellini, e la profonda passione per il cinema di cui scrive:”Per fare un film, basta premere un pulsante e far partire la macchina da presa. Ma il cinema è un’altra cosa: saper fermare sulla pellicola uno sguardo originale che mostra della realtà ciò che altri non vedono”, e comunicare, perché racconta Olmi citando un altro maestro del cinema, Vittorio De Sica, “comunicare è un atto d’amore”.
E così, grazie al recupero dei sentimenti più autentici e ai legami più forti con la natura da cui sempre più spesso l’era in cui viviamo ci allontana, passando attraverso un’accanita difesa del territorio e a un armonioso rapporto con la terra, con la consapevolezza che “per andare avanti, qualche volta bisogna tornare indietro”, a “una civiltà agricola libera dai criteri economici dei grandi numeri e dei grandi profitti”, potremo capire la lezione della vita. Soltanto allora, sembra suggerire con pacatezza l’autore, il senso della fine non sarà più un oscuro presagio, ma l’incanto di un nuovo inizio. Il lieto fine dell’apocalisse.
Ermanno Olmi (Bergamo 1931) è uno dei più grandi registi del cinema italiano. Ha diretto, tra gli altri, “L’albero degli zoccoli” (Palma d’Oro 1978), “La leggenda del santo bevitore” (Leone d’Oro 1989), “Il mestiere delle armi (David di Donatello 2001). “Il villaggio di cartone” (2011) è la sua opera più recente. Nel 2008 ha vinto il Leone d’Oro alla carriera.