di Sandro Calice
di Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski. Germania, Hong Kong, Singapore, USA 2012. Drammatico, fantascienza (Eagle Pictures)
Fotografia di Frank Griebe e John Toll.
con Tom Hanks, Hugo Weaving, Ben Whishaw, Halle Berry, Jim Sturgess, Susan Sarandon, Hugh Grant, Jim Broadbent, Keith David, James D'Arcy, Zhu Zhu, Götz Otto, Xun Zhou, Doona Bae, Alistair Petrie.
Sarà facile sparare ad alzo zero contro “Cloud Atlas”, a prima vista un “polpettone” mistico-filosofico sul destino dell’umanità. In realtà il nuovo film dei Wachowski (prima due fratelli, ora fratello e sorella), due che hanno segnato la storia del cinema di fantascienza con una pietra miliare come “Matrix”, e di Tom Tykwer, autore del pluripremiato “Lola corre”, è - tanto per cominciare - il primo film epico e post apocalittico degli ultimi anni ad avere mood profondamente positivo.
“Cloud Atlas” è composto da sei storie diverse (ma intimamente connesse) che si svolgono nell’arco di circa 500 anni, e che ha senso accennare solamente. Tutto comincia nel 1849, quando un avvocato di San Francisco salva dalla morte uno schiavo durante un pericoloso viaggio di ritorno dalle isole del Pacifico. Nel 1936 in Scozia un giovane musicista cerca di comporre l’opera della sua vita nonostante l’altissimo prezzo da pagare. Nel 1973 a San Francisco una giornalista mette in gioco la sua vita per scongiurare una misteriosa catastrofe. Nel 2012 in Inghilterra un piccolo editore si trova prigioniero di una stuazione tragicomica. Nel 2144 nella città di Neo Seoul una semplice cameriera sta per trasformarsi da clone a elemento fondamentale per la rivoluzione. Nel 2321, infine, dopo il grande cataclisma, su quelle che erano le isole Hawaii un rozzo pastore di capre accompagnerà una scienziata in un viaggio decisivo per le sorti dell’umanità.
Tratto dall’omonimo romanzo di David Mitchell, che tutti davano come intraducibile per il cinema, “L’Atlante delle nuvole” è un ambizioso film sulla vita, sui suoi significati, sulle domande che l’umanità si pone e sulle risposte che nessuno immagina, basato sulla teoria che ogni vita continua nei secoli in una serie ininterrotta di reincarnazioni, per cui la morte è solo una porta che si apre su uno stato diverso dell’esistenza, e soprattutto ogni azione, “ogni crimine, ogni gentilezza” generano un futuro, si riverberano di generazione in generazione, lasciando il modo e il tempo ai caratteri di cambiare, ai peccati di essere espiati e ovviamente agli amori di trionfare. Misticismo, “religione”, filosofia prêt-à-porter: non è però questo il punto. Il film, certo un po’ troppo lungo con le sue tre ore (i registi si sono divisi le storie: quella iniziale e le due del futuro ai Wachowski, le tre centrali a Tykwer), alla fine funziona per altri motivi. Il montaggio, innanzitutto, per la maestria con cui passa da una storia all’altra, mai per caso o “traumaticamente”, sempre con forti legami simbolici, costruendo l’alveo di un fiume che muta, curva, si ingrossa e arriva alla sua foce: spazientirsi per la lunghezza è come leggere una biografia senza godersi il viaggio ma con l’ansia di arrivare alla fine considerandola l’unico momento interessante. La molteplicità dei registri, poi: nello stesso racconto, in pratica, abbiamo un’avventura in costume, un dramma sentimentale, una storia di spionaggio, una commedia, un film di fantascienza e uno apocalittico. E il bello è che tutto si tiene, e se il sentimento diventa epico, l’azione può essere romantica. La cura dei dettagli e delle interpretazioni, infine: dalla musica (dello stesso Tykwer) che attraversa - uguale e credibile – tutte le diverse storie; ai costumi, con alcuni disegni e simboli che ritornano in forme diverse in tutto il film, creando quello che gli autori chiamano “un flusso inconscio di immagini”; agli attori, che interpretano 5 o sei ruoli a testa, truccati in modo che qualcuno può giudicare dozzinale, ma che secondo noi è volutamente caricaturale, teso a sottolineare i caratteri, e comunque quasi tutti di grande bravura. “Cloud Atlas” è questo: un enorme affresco con molte sbavature, una sinfonia che a tratti stona, un romanzo con qualche pagina di troppo, ma nel complesso un esperimento affascinante nel quale ognuno, siamo sicuri, potrà trovarci il suo momento di culto.
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