di Paola Scaramozzino
Quando entro nel suo piccolissimo laboratorio situato alle spalle di piazza San Giovanni in Laterano a Roma e accanto alla Scala Santa, in via Domenico Fontana, 42, il signor Gianfranco Mancini, anzi il maestro di doratura libri Mancini, non ha molta voglia di parlare. Anzi, al primo impatto dice subito di no, “non sono il tipo da interviste”, ma poi si scioglie e si racconta gradevolmente e con una punta di amara ironia.
“Fino a quattro, cinque anni fa se qualcuno fosse entrato per chiedermi di parlare del mio mestiere gli avrei detto subito che non avevo tempo, avevo tanto lavoro che non potevo dare retta a nessuno. Bisognava personalizzare le agende per l’anno nuovo, e quello era uno dei lavori da fare. Poi c’erano i libri per la Biblioteca Nazionale o l’Università che andavano titolati. Ed era un altro lavoro di quelli grandi, impegnativi. Mi vede adesso? Non si fa più niente. C’è da piangere se penso a tutte le spese che ci sono da affrontare”.
Lo sfogo nasce spontaneo e nel nostro viaggio fra i mestieri che stanno scomparendo questo artigiano non è l’unico a sentirsi sull’orlo di un baratro.
“Guardi, lo scriva, questo è il mio lavoro. Io lo amo il mio lavoro, insisto. Credo che nella vita non avrei potuto scegliere di meglio. Non tornerei indietro per nessun motivo. Solo che vorrei continuare a farlo questo mestiere e invece…. Che tristezza. E pensare che sono riuscito a mantenere e anche bene una famiglia con due figlie”.
Ci spiega il suo lavoro?
“Innanzi tutto i ferri del mestiere che sono questi che sono attaccati a parete”. E su un muro che sarà due metri per tre fanno bella mostra una cinquantina di arnesi, i “compositoi”, tutti con il manico di legno. Assomigliano a dei pennelli che a posto delle setole hanno una guida di ferro. Ne prende una e l’appoggia su un piccolo banco in legno dove ben in vista c’è un fornellino in ghisa e una morsa. “Questo è l’arnese per comporre le parole, i titoli e i nomi di autori di libri. I caratteri sono di ottone, una volta erano addirittura in bronzo. Sono di varie misure a secondo della grandezza desiderata. Si compone il nome, si mette in questa scanalatura. Una volta scritto il nome dell’autore, Paolo Rossi, ad esempio, prendo il libro e lo fermo in questa morsa di legno. Accendo il fornellino a gas e ci metto su il compositoio che deve diventare caldo. Poi prendo il nastro di oro zecchino, lo appoggio in questo caso sul dorso del volume e con il compositoio premo leggermente sopra di esso. Ed ecco, il nome rimane impresso sul libro che in questo caso ha la copertura di pelle ma può essere anche di altro materiale. E’ un lavoro in cui ci vuole manualità, esperienza, pazienza e soprattutto precisione perché una volta impresso il nome non si torna indietro. Non si può correggere. Quando si va in una biblioteca e si vedono i libri antichi con le scritte dorate, quello è il nostro lavoro come anche i rilievi sul dorso dei volumi. Diciamo che i libri sono i destinatari principali della nostra opera, poi ci sono le decorazione di mobili di lusso. Le scrivanie che hanno la copertura in marocchino con le decorazioni dorate, sono opera del doratore. Un tempo decoravamo anche le scatole da gioielleria”.
Quegli altri attrezzi appesi che sono?
“Quelle sono tutte lettere singole che non adopero da molti anni. Si usavano per personalizzare le agende o i biglietti da visita. Cose che appartengono a un passato veramente lontano”.
Quanti sono i doratori di libri nella Capitale?
“Ormai si contano sulle dita di una mano. Finiti noi, questo mestiere sparirà. Noi siamo l’appendice dei rilegatori che a loro volta fanno parte del settore della tipografia”. Ha mai pensato di chiudere?
“No, io sono abituato a stare in questa bottega anche 11 ore al giorno. Ci vengo anche se non ho nulla da fare altrimenti a casa impazzisco”. Poco più che 50enne, il signor Gianfranco indossa il camice blu da lavoro, ha le mani curate di chi le adopera per fare dei ricami indelebili sulle copertine dei libri.
“Quando ho finito il militare nel 1981- racconta- mio fratello Paolo già lavorava e cuciva i libri in legatoria. Mi ha consigliato di andare da un signore che fra l’altro era anche amico di mio padre, che faceva il doratore. Proprio per rimanere nell’ambito dello stesso settore. In un mese mi ha insegnato le basi del mestiere e poi mi ha lasciato continuare da solo. Mi è piaciuto da subito. Mi sono sentito realizzato. Il laboratorio è piccolo, ma si riempiva di libri impilati uno sull’altro fino al soffitto. C’è stato un tempo in cui qui venivano i restauratori di libri antichi con volumi di grandissimo valore che non avevano il coraggio neanche di lasciare tanto erano preziosi. Si sedevano su un banchetto e aspettavano pazientemente che completassi il lavoro anche per ore. Mi piace pensare che su quei libri antichi ci sia la mia mano, magari saranno in una biblioteca o a casa di qualcuno che sa apprezzare. Qui, sempre una volta, venivano anche gli avvocati con le Gazzette Ufficiali e i testi giuridici che venivano prima rilegati e poi catalogati. Adesso con Internet non hanno più bisogno del cartaceo. Un altro lavoro che è venuto meno. Ancora rimane qualche tesi da fare anche se molti poi decidono per lavori meno costosi. La differenza comunque c’è fra il lavoro artigianale e quello di serie, industriale: è come guardare le foto al computer o messe in un bell’album. E’ una questione di gusto, di tatto, certo bisogna saper provare certe sensazioni. La gente ha perso la gioia di questi particolari. Poi in questo periodo, non ne parliamo. Ma arriverà questa benedetta ripresa? Speriamo in questo 2013 ma a essere ottimista non mi riesce proprio. Comunque Buon Anno”.