di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)
Rachel Sermanni – Under Mountains (Middle of nowhere)
Rachel Sermanni ha solo vent’anni, molti dei quali passati a guardare l’erica crescere e colorare di viola i campi delle sue selvagge Highlands, nel nord della Scozia. Luoghi inospitali, ai confini dell’infinito, dove l’unica musica è il fischio del vento che l’infila nei glen e porta refoli di cornamuse. A Carrbridge, suo paese natale, 707 abitanti nel bel mezzo del nulla, si può conversare con la pioggia e affogare i dispiaceri nell’ottimo whisky locale. Oppure, da bambini, frequentare le lezioni di musica che gli anziani dei villaggi tengono il sabato pomeriggio per insegnare ai pargoli i primi rudimenti e l’approccio agli strumenti, quasi sempre cormamusa e violino. Rachel Sermanni ha dovuto attraversare le “alte terre” e arrivare a Glasgow per trovare orecchie attente alle sue note. Ian Grimble, uno che ha collaborato con Sinead O’ Connor, gli Housemartins, i Manic Street Preachers, gli America, Beth Orton, e che fa affinato l’orecchio con la mola, ha deciso di puntare su questa ragazzina dall’aria timida e dalla voce ancora più sommessa. La nuova Laura Marling, ha subito decretato qualcuno. Forse, ma è ancora presto per dirlo. “Under mountains” è un’assemblaggio sonoro di sussurri, vocalizzi, fingerpicking, violini e , qua e là, toccate di pianoforte. Il tutto sottotraccia, 12 canzoni delicate e struggenti, malinconiche quanto può esserlo lo sguardo di chi guarda fuori alla finestra mentre piove senza soluzione di continuità. Non è certo la musica adatta per chi vuole ballare la tarantella, e neanche saltellare sulle note delle gighe celtiche. Ma è in sintonia con tutti i sognatori malinconici del pianeta.
Anastacia – It’s a man’s world (Bmg/La Repubblica)
Fra l’immagine scarna e dimessa di Rachel Sermanni e quella aggressiva da sex symbol in ritardo sui tempi di Anastacia Lyn Newkirk, in arte col primo nome di battesimo, c’è la stessa distanza che separa Nick Drake da Mick Jagger. Tanto la prima si colloca sul lato scuro del palcoscenico, quanto la seconda cerca la luce dei riflettori. Il nuovo album di Anastacia, che fra ritocchi veri e photshop sembra una improbabile coniglietta di Playboy, si intitola “It’s a man’s world”, ed è stato messo in commercio in versione digitale, per poi essere pubblicato su cd e (almeno in Italia) allegato al quotidiano “la Repubblica”. In attesa del nuovo album di inediti (l’ultimo, “Heavy rotation”, risale a 4 anni fa), Anastacia ha messo insieme dieci best-seller di artisti famosi, tutti di sesso maschile. Da qui il titolo. Un’operazione tutto sommato superflua, anche se alla fin fine, a ben guardare, anzi, a ben sentire, l’ascolto si rivela assai piacevole. Alla signora (44 primavere) non è che manchi la voce, e la scelta dei brani è di primissima qualità. Così si parte da “Ramble on “ dei Led Zeppelin per chiudere con “Wonderwall” degli Oasis, con in mezzo “Dream On” degli Aerosmith, “You give love a bad name” di Bon Jovi, “One” degli U2 (piuttosto ascoltate la versione di Johnny Cash), “You cant’t always get what you want” di Jagger e compagni, “Sweet child of mine” deì Guns n’ roses, “Back in black” degli Ac /Dc , più Foo Fighters e Kings of Lion, tanto per per abbassare la media anagrafica. Produce Glen Ballard (un nome, una garanzia: Quincy Jones, Michael Jackson, Alanis Morissette, Aretha Franklyn, perfino Elisa). Il quale Ballard, però, deve aver tirato troppo le briglie ad Anastacia, che viaggia con il freno a mano tirato. Già il confronto vocale con gente come Bono, Jagger e Axl Rose è impietoso, in più Ballard ha tentato di trasformare delle solide canzoni rock in un pop levigato adatto a viaggiare comodamente nell’etere. Compito eseguito alla perfezione. “It’s a man’s world” funziona in autostrada, si fa ascoltare con piacere, ma non rende onore alla grinta (repressa) della signora. Si può trasformare un rocker in un musicista pop, ma è impossibile fare il contrario.