di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)
Dave Matthews Band – Away from the world (Rca)
Ormai la Dave Matthews Band riesce a dare più anni di garanzia di quelli previsti per gli elettrodomestici. Almeno tre, e per questo recente “Away from the world” si potrebbe chiedere l’estensione a cinque. Decisamente l’album migliore da almeno una decina d’anni, considerato che la band di Charlottesville (Virginia) ha in compenso pubblicato una quindicina di cd dal vivo, più svariate decine acquistabili e scaricabili solo in rete. Non è una scelta peregrina quella della DMB di dedicarsi alle pubblicazioni dei live. E’ proprio in concerto che riescono ad esprimere tutta la loro forza espressiva e l’incredibile capacità di improvvisare. In ogni brano si sa dove si comincia ma non dove si finisce, troppe sono le varianti in corso d’opera che il capobanda mette in atto durante le esecuzioni. E’ per questo che dentro la loro musica ci sono le partenze funk, i ritorni jazz, le bordate rock, una certa dose di progressive, ci sono echi spagnoleggianti (“Gaucho”) che evolvono in riff da heavy metal, sussurri folk (“Belly Full”), ballate (“If Only”) che introducono esplosioni sudiste (“Rooftop”) e fluttuazioni jazz con sinusoidi più ampie dello spread. E che dire dell’introduzione zeppeliniana di “Snow outside”, che poi svolta verso lo Sting più jazzato? E’ questo il bello di Dave Matthews e della sua poderosa band: improvvisa sul rock come solo i jazzisti sanno fare, non dà mai punti di riferimento fissi, né indicazioni precise. Si viaggia a vista, bussola in mano. Ma dal vivo, lo spettacolo deborda. Su cd, bisogna accettare le limitazioni dell’oggetto.
Graham Parker – Three Chords Good (Primary Wave)
Fa piacere ritrovare un vecchio compagno di strada come l’inglese Graham Parker, uno di quelli che alla fine degli anni ’70 aveva fatto parte di una piccola truppa di musicisti (Willie De Ville, Joan Armatrading, Bob Seger, il primo Springsteen, Jackson Browne, Tom Petty) che in qualche modo avevano coagulato un uditorio geograficamente trasversale (Usa e Europa) , molto legato al rock ed alla forma-canzone tradizionale, che in questi artisti ha trovato una sorta di religione d’ appartenenza . Graham Parker, 62enne londinese, aveva sciolto le fila dei suoi strepitosi Rumours (e citiamoli, và!: Brinsley Schwartz, Martin Belmont, Bob Andrews, Steve Goulding, Andrew Bodnar) nel 1981, dopo una serie di album di maestosa bellezza. Su tutti, ma si accettano contestazioni, “Squeezing Out Sparks” e “Parkerilla”. Era l’epoca in cui il punk dei Sex Pistols e dei Clash furoreggiava, ma Londra era un caleidoscopio di suoni, in grado di sfornare valide alternative ad ogni angolo di strada. Parker divenne il leader del cosiddetto pub rock, vale a dire: belle melodie, grande maestria tecnica, molto reggae nelle orecchie. Dopo trent’anni di prove soliste sottotono, Parker ha richiamato in servizio i Rumours, e si sente. “Three chords good” riprende il discorso dove s’era interrotto, quei 5 giovanotti dalla calvizie consolidata non hanno neanche un pizzico d’ironico alzheimer. Ricordano alla perfezione quei passaggi che, all’epoca, li hanno fatti conoscere come una delle migliori backing-band del pianeta. Quindi, riassumendo: gran bell’album, almeno sei brani sopra la media, gli altri a riempire i solchi. Chitarre che graffiano, organo ad ordire trame sonore di sostegno, e la voce di Graham Parker che non ha perso neanche un’ottava. “Last bookstore in town”e “Snake oil capital of the world” meritano un bell’otto.