Mestieri che finiscono: l’orologiaio


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Colui che non fa morire il tempo passato

Massimo Pierangeli, una vita fra i rintocchi di orologi d’epoca o

di Paola Scaramozzino
(p.scaramozzino@rai.it)

L’atmosfera che si respira entrando nell’’officina di riparazioni di orologi d’epoca è una via di mezzo fra un film dell’horror e una favola come “Cenerentola” o “La bella e la bestia”. All'unisono, allo scattare dell’ora, si fanno sentire i rintocchi dei tanti orologi antichi attaccati al muro, poggiati per terra, messi in bella vista dentro a delle vetrine. Tutti hanno un tono diverso, una propria peculiarità. Davanti al bancone una suora che sta aspettando che il signor Massimo Pierangeli, 70 anni portati benissimo e un gran bel viso schietto, gli restituisca l’orologio che non andava più. Dietro a uno dei due piccoli banchetti illuminati a giorno e con diverse lenti di ingrandimento, l’artigiano sta lavorando. Pochi minuti con pinze e punteruoli e l’orologio da polso è pronto.

“Cinque euro. Madre colgo l’occasione per salutarla, sto per chiudere” dice il signor Pierangeli. “Ma perché è tardi?” risponde lei. “No è che chiudo proprio, chiudo la mia attività, me ne vado”. La suora guarda prima lui e poi me stupita: “Santissima Madre ma chi verrà più ad aggiustare l’orologio del convento? “. “Ne troverete un altro –sussurra - ma sarà difficile”.

Lo sarà davvero perché il signor Massimo è uno degli orologiai più bravi della Capitale specializzato nella riparazione di orologi d’epoca ma anche di orologi meccanici sia semplici che automatici o cronografi. Praticamente tutti gli antiquari di Roma sono passati in questa “Antica orologeria artigiana” di via Latina, 50 a Roma.

Le dispiace lasciare?
“No, è diventato tutto troppo complicato. Dico fiscalmente e poi ci sono le spese, le tasse, la posizione Inail, Inps. Gli studi di settore. Qui è considerato centro e si ipotizza che io guadagni un tanto. Vai a dimostrare che non è così. Basta, ho lavorato e adesso mi dedico a mia moglie, alle tre figlie e ai nipoti. Nessun rimpianto”.

Ne è sicuro?
“Le faccio un esempio. Ha visto fuori all’officina ci sono sulla strada due vetrinole e c’era un orologio attaccato in alto. Ho sempre pagato la tassa per questi elementi ma qualche mese fa sono passati i vigili e mi hanno detto che non potevo tenere più l’orologio. La tassa la pagavo dal 1980. E’ stata la goccia che mi ha portato a decidere…. Chiudo”.

Quando ha iniziato a fare questo lavoro?
“Ho cominciato da grande, avevo più di 30 anni. Prima ero un commerciante di articoli per boy-scout e per esploratori. Era il tempo dell’introduzione dell’Iva e sembrava che diventasse difficile avere un’attività. Avevo due amici, uno fabbro e uno orologiaio. Mi sono seduto accanto al secondo per sette, otto mesi e ho intrapreso questo mestiere, devo ammettere, anche con successo. Adesso, ma non è per la crisi economica, la gente non ha più il gusto dell’antico. Vede questi (e mi fa vedere delle cassette piene di buste) sono tutti orologi che non si sono venuti a riprendere chissà per quale motivo”.

Mi fa entrare “nel suo reparto” e mi mostra la macchina (il meccanismo) e la cassa (l’involucro) dei tanti orologi appesi. Orologi a pendolo, parigine (perché la macchina veniva costruita a Parigi), da viaggio, capuccine, sveglie.

“So tutto di questi orologi. E poi vede tutte quelle casse, saranno centinaia, sono state il mio investimento. Dove le trovavo le compravo sapendo che mi sarebbero tornate utili. Ho aggiustato orologi di tutte le epoche dal 1700 in poi. Venivano da tutta Roma e anche da fuori. Orologi bellissimi con la cassa in marmo, in ebano, in legno, ma quello che mi è rimasto forse più impresso è stato uno ad acqua. Il meccanismo è per tutti più o meno simile: si tratta di pulire ogni singolo ingranaggio, registrare o sostituire i pezzi mal funzionanti. Nei casi di orologi d’epoca bisogna essere in grado di riprodurre i pezzi mancanti. In alcuni casi si ricostruiscono i componenti dei meccanismi perché impossibili da trovare. Io ho rubato questo mestiere da tutti. In primis dal mio amico che me lo ha insegnato e poi da un lavorante che era bravissimo e al quale lascio una parte dei miei tesori”. Mentre parliamo, le persone che passano sul marciapiede lo salutano a gran voce. Massimo è quasi un’istituzione nel quartiere. Sta qui dal 1980, L’idraulico accanto, poco più che un ragazzo, sta trasportando per lui un bancone. Si smobilita tutto. Altri negozianti chiedono se possono fare qualcosa. Via Latina era ed in parte lo è ancora, una via di artigiani soprattutto di falegnami e antiquari. Non resta molto, purtroppo. Lo scorso anno hanno chiuso in tre.

Cosa si porta dietro del suo mestiere?
“Tutti questi orologi che vede appesi alle pareti. Mi sono trasferito fuori Roma e ho un grande salone. Me li metto lì, così li avrò sempre davanti agli occhi. Fanno parte della mia vita, ma non ho malinconie. Ho avuto tante soddisfazioni e riconoscimenti dalle persone che mi portavano orologi a pezzi, quasi irrecuperabili e li riprendevano funzionanti. Ho lavorato per il Ministero della Pubblica Istruzione, sono stato chiamato dal Comune di Campodimele, in provincia di Latina, per aggiustare l’orologio del campanile della piazza. Una festa. ”. E mentre parliamo, continuano ad entrare persone che salutano il signor Massimo e che manifestano il loro dispiacere per la imminente e irrevocabile chiusura il 31 dicembre. “Se non ci fosse da pagare l’affitto esoso del laboratorio, forse sarei rimasto….Vorrà dire che mi verrete a trovare a casa”.

E mentre esco, un gruppo di persone parlano insieme ad altri artigiani consapevoli che quello del signor Massimo non è l’unico laboratorio destinato a chiudere. E intanto si continua a svuotare l’officina. Peccato.

La prossima tappa del nostro viaggio nei mestieri è per giovedì 10 gennaio 2013