di Rodolfo Fellini
La crisi finanziaria mondiale mette la Corea del Sud di fronte a un bivio: continuare sulla strada del liberismo sfrenato, aperta dal presidente uscente Lee Myung-bak, o cambiare rotta e perseguire un programma di riforme sociali, che attribuisca maggiori spazi allo Stato, in particolare per favorire l’occupazione giovanile. Ed è stata proprio l’economia l’unica, incontrastata sovrana della campagna per le elezioni presidenziali del 19 dicembre. L’ultimo lancio missilistico da parte della Corea del Nord, che si configura come un test nucleare e rappresenta un ulteriore gradino nell’escalation di tensione che scuote il 38° parallelo, ha stranamente lasciato in ombra quello che avrebbe potuto essere il tema più caldo del dibattito politico: i rapporti con i vicini di Pyongyang.
Pasionaria e figlia del tiranno
A sfidarsi sono 7 candidati, ma solo due hanno concrete possibilità di vittoria. Il sistema elettorale consiste di un turno unico; viene automaticamente proclamato presidente chi ottiene la maggioranza relativa. Per mesi, i sondaggi hanno dato per vincente Park Geun-hye, leader del partito conservatore Saenuri, attualmente al potere, e figlia di Park Chung-hee, che nel 1961 salì al potere con un colpo di Stato e fino al 1979 fu a capo di un regime dittatoriale. La sua ascendenza è al tempo stesso un punto di forza e un punto di debolezza: un punto di forza per i nostalgici dei fasti legati alla robusta crescita economica di quegli anni, un punto di debolezza per chi ricorda invece le violazioni dei diritti umani messe in atto dal regime. Se eletta, Park Geun-hye sarebbe la prima donna ad assumere la presidenza del Paese e la prima leader donna in tutto l’Estremo Oriente. Buona parte della sua campagna elettorale si fonda proprio sulla questione femminile. Tra le sue proposte, l’introduzione di quote rosa al 40% nelle liste elettorali e programmi sociali che agevolino il lavoro femminile in un Paese dove le donne guadagnano il 40% in meno degli uomini. Le rilevazioni l’hanno vista costantemente in testa, con percentuali comprese tra il 30 e il 40%. Le primarie, che con l’87% dei voti l’hanno incoronata candidata ufficiale del partito, sono state l’ultimo di una serie di trionfi da lei inanellati in un tempo davvero brevissimo. Park ha infatti preso le redini del partito appena un anno fa, e si è subito messa in luce con alcune mosse ad effetto. Dopo due mesi, ne ha cambiato il nome: da “Grande partito Nazionale” a “Saenuri”, “Nuova Frontiera”. Intanto, prendeva decisamente le distanze dal presidente Lee, in particolare per quanto attiene alle politiche economiche iper-liberiste e all’intransigenza mostrata nei confronti di Pyongyang. Park ha cavalcato la crescente impopolarità del capo dello Stato, travolto da diversi scandali politici, e attraverso una sapiente operazione di opposizione interna e di rinnovamento dei quadri dirigenti, ha saputo rinnovare l’immagine del partito. Alle elezioni politiche di aprile, il suo Saenuri è così riuscito clamorosamente a sovvertire ogni pronostico, conquistando il 49% dei voti e sfiorando la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari.
Possibile rimonta da sinistra
Nonostante i rosei pronostici, Park Geun-hye non può dirsi affatto sicura della vittoria. Fino al mese scorso, il suo principale rivale era il cinquantenne Ahn Cheol-soo, candidato indipendente, decano dell’Università e imprenditore di successo, attivo nel campo dell’informatica. Ahn presentò la propria candidatura per “rispondere a un’esigenza pressante di rinnovamento” avvertita tra i cittadini, salvo poi ritirarla dopo due mesi per “evitare che i voti dell’opposizione vadano dispersi”. La sua defezione potrebbe dunque premiare lo sfidante Moon Jae-in, espresso dal Partito Democratico, benché Ahn non abbia ufficialmente invitato i suoi seguaci a votarlo. Anche Moon Jae-in è figlio delle primarie, ma il suo percorso è stato più sofferto di quello di Park Geun-hye. Da tempo in crisi di consensi, privo di un leader e di una linea forti e indebolito dal confronto tra le correnti interne, il Partito democratico ha faticato a trovare la quadratura del cerchio. E ci è riuscito solo attraverso le primarie, aperte anche ai non iscritti, che hanno formalizzato l’investitura di Moon, un personaggio forse più popolare tra i cittadini che tra i dirigenti del partito. Al primo posto della sua ricetta, una legge sull’antitrust, che crei maggiori spazi di democrazia nell’economia e favorisca le piccole e medie imprese. La democratizzazione dell’economia passa inoltre attraverso un aumento della pressione fiscale sui redditi più alti e sulle società. E’ un fautore del dialogo con la Corea del Nord e propone di istituire una zona di pesca comune ai due Paesi nel Mar Giallo. Gli avversari di Moon gli criticano la vicinanza con Roh Moo-hyun, che fu presidente dal 2003 al 2008 all’insegna del populismo e fu travolto da alcune vicende di corruzione e di appropriazione indebita di fondi pubblici. I sostenitori sottolineano il costante impegno in favore dei diritti umani, che già negli anni ’70 lo portò in carcere, proprio durante la dittatura del padre della sua attuale rivale. Il Paese si presenta ancora una volta alle urne fortemente polarizzato, ma al di là dei colori e delle ideologie, da destra a sinistra le ricette sembrano andare in un’unica direzione: conciliare efficienza e solidarietà per ridurre i divari tra l’oligarchia e i ceti medio-bassi e cercare una via d’uscita alla crisi all’insegna dell’unità.