di Sandro Calice
di Peter Jackson. Nuova Zelanda, Usa 2012. Fantasy (Warner Bros.)
Fotografia di Andrew Lesnie
con Martin Freeman, Cate Blanchett, Elijah Wood, Lee Pace, Andy Serkis, Orlando Bloom, Ian McKellen, Ian Holm, Richard Armitage, Christopher Lee, Mikael Persbrandt, Dean O'Gorman, Benedict Cumberbatch, Luke Evans, Billy Connolly, Stephen Fry.
Peter Jackson colpisce ancora. Dieci anni dopo la trilogia de “Il Signore degli Anelli” (17 premi Oscar in tutto, 11 solo al terzo capitolo) torna a raccontarci le favole della Terra di Mezzo inventate dallo scrittore e filologo britannico John Ronald Reuel Tolkien tra il 1937 e il 1955. Questa volta però prende spunto da un solo libro, “Lo Hobbit”, per farne tre film: una sfida e un rischio.
Sessant’anni prima delle vicende raccontate ne “Il Signore degli Anelli”, lo hobbit Bilbo Baggins, lo zio (in realtà lontano cugino) di Frodo, vive serenamente nella sua casetta a Hobbiville, con l’unico intento di godersi il suo caminetto e i suoi libri. Gandalf il Grigio, però, ha altri piani per lui. Un gruppo di 13 nani guidati dal leggendario Thorin Scudodiquercia è andato dal mago per essere guidato alla riconquista dell’antico Regno dei nani di Erebor, ora sotto il dominio dell’invincibile drago Smaug. E Gandalf è convinto che Bilbo sia una pedina fondamentale di questa impresa. La compagnia dovrà attraversare le Terre Selvagge e affrontare orchi, warg e goblin, potendo contare forse solo sulla collaborazione degli elfi, mentre un’oscura presenza che si fa chiamare Negromante incombe su di loro. E quando Bilbo incontra uno strano essere di nome Gollum che custodisce un prezioso e misterioso anello d’oro, cominciamo a pensare che Gandalf ha ragione.
La prima cosa che si nota quando inizia il film è la nuova tecnologia con cui è girato “Lo Hobbit”, l’HFR 3D (3D ad alta frequenza di fotogrammi) che ha scatentato odi e amori in egual misura: e se è forse esagerata la critica di chi lamenta nausee, è vero che la nuova tecnica dà il meglio di se negli esterni, mentre nelle scene in interno fa un po’ un effetto telenovela, e raggiunge l’obiettivo dichiarato di conferire un’aura di fiaba al tutto. Detto ciò, la confezione è straordinaria esattamente come vi aspettereste da un film di Peter Jackson, dai costumi ai personaggi, dagli effetti visivi alla maniacalità per i dettagli, dagli scenari ai combattimenti. L’atmosfera, in generale, è meno cupa di quella della trilogia dell’Anello, più contaminata con la commedia, con i nani che addirittura si concedono cantate ai confini del musical (un’inclinazione che rischia di essere fuori luogo). Il meccanismo, infine, è lineare e sperimentato: “persone” comuni che affrontano pericoli impossibili, di forza crescente, spesso armate solo della bontà dei loro sentimenti e delle loro azioni, che di fronte alla sicura disfatta ottengono sempre un aiuto inaspettato e risolutore, e che un passo alla volta, senza perdere quasi nessuno per strada, si avvicinano alla meta. Un giocattolo conosciuto, costruito con i migliori materiali, che certo non annoia (anzi!), ma certamente non sorprende più. Continua.