Secondo viaggio fra i mestieri che scompaiono


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Il Signore delle chiavi

Giorgio Pavan, un po' fabbro e un po' cesellatore c

di Paola Scaramozzino
(p.scaramozzino@rai.it)

Il papà Amedeo 70 anni fa faceva le chiavi in questa vecchissima officina a Roma, in via del Gazometro 5, che è rimasta proprio come doveva essere negli anni '40. Il 'Laboratorio chiavi' non ha un'insegna, ha un uscio stretto e dieci gradini ripidi che portano al piano seminterrato dagli alti soffitti ad arco. Un ricordo dei rifugi nati per difendersi dai bombardamenti al tempo della guerra , dove ancora qualche traccia vi è rimasta come i segni dell'intonaco caduto dal soffitto. Tutto grigio, anzi tutto color ferro se non fosse per il luccichio delle tantissime chiavi appese alle pareti, ben ordinate per grandezza e tipo. Chiavi standard, passepartout, a doppia mappa, punzonate, tipo Yale e poi maschi e femmine ovvero quelle antiche in ferro grandi o piccolissime per i comò e le librerie.

"Fino a qualche tempo fa -ci racconta il signor Giorgio Pavan, forse l'ultimo vero maestro delle chiavi - si leggevano ancora le scritte 'Non state vicino alle porte' e altri suggerimenti per chi si trovava qui nel rifugio. Tanto tempo fa ormai". Si guarda in giro, una vita nell'officina e tanti ricordi.

Signor Giorgio, come è questo lavoro?
"E' il mio lavoro" - ci dice questo signore poco più che sessantenne, molto timido e dai modi garbati, un po' stupito dall'interesse che si ha per la sua officina- "Ero un bambino e venivo qui a vedere lavorare mio padre. Scuola e lavoro per me non andavano d'accordo. Ho dovuto scegliere, erano altri tempi e così mi sono trovato a fare il mestiere di mio padre. Avevo otto anni e già ci capivo di serrature. Mio padre mi mandava ad aprire le porte di chi era rimasto fuori casa ma io dopo un po' non l'ho voluto fare più. Ero un ragazzino e nessuno mi pagava. Comunque, una volta facendo le chiavi si poteva pure campare. Si guadagnava. Certo io da solo e senza operai. Le chiavi te le chiedevano, ma adesso, in certi giorni, non si fa nulla. Va di moda l'usa e getta, non si recupera niente. Molti preferiscono rifare le serrature piuttosto che rifare le chiavi. E poi c'è il discorso dell'esclusività: chi vende serrature ha direttamente dalla fabbrica il grezzo per farne altre. E uno come me, così, rimane tagliato fuori. Io sono in grado di fare qualsiasi chiave ma vede queste delle auto che hanno la doppia linguetta? Solo la casa di fabbricazione la possiede, fra l'altro costa tantissimo quando io la potrei fare per molto meno, ma non è più possibile".

Ma come funziona una serratura?
"Il sistema è sempre lo stesso, un cilindro e i vari perni che vanno a misura e devono coincidere con i denti della chiave. E' una questione di occhio. Si svita il cilindro e in base a come sono disposti i fori e la lunghezza dei perni, si ricostruisce la chiave".

E' vero che lei ha fatto le chiavi anche per il Vaticano?
"Sì, quelle delle prigioni. Chiavi importanti e serrature particolari antichissime che davvero erano a prova di ladro. Mi è rimasta impressa una che forse risaliva al '400 e che era di una semplicità assoluta e si basava su un contrappeso di piombo. Altro che quelle di oggi, era a prova di qualsiasi grimaldello. La chiave girava e la porta si apriva solo quando l'inclinazione della chiave corrispondeva al peso del piombo. Geniale. Per questo posto ne sono passate di chiavi belle, veramente belle".

L'officina ha macchine per arrotare le chiavi dappertutto e poi attaccate alle pareti minuscole cassettine con le chiavi grezze da modellare. E poi banconi in legno, presse, incudini, lime, martelli. Tutto in gran disordine sui banconi ma perfettamente in ordine nella testa del signor Giorgio che trova anche pezzi piccolissimi fra tutti quei ferri. A metà strada fra il fabbro e il cesellatore, il nostro maestro delle chiavi sa che non potrà continuare per molto il suo lavoro.

"E' un mestiere finito. Una volta ad una porta antica non si sarebbe mai messa una serratura moderna e lì intervenivo io. Adesso figuriamoci. Per non parlare dei mobili di epoche diverse che mancavano delle chiavi. Le ricavavo dalla serratura, un lavoro di pazienza, di tempo, a volte anche costoso. Adesso si sostituisce la serratura e si va avanti".

Ci sono chiavi che le sono rimaste impresse?
"Anni fa un signore me ne ha portata una che era tutta cesellata e si vedeva che era antichissima. Voleva che gli togliessi i rilievi che chissà quale fabbro aveva fatto con un lavoro molto minuzioso. Poteva essere messa anche su una parete o in un quadro per come era bella. Mi sono rifiutato di demolire il cesello, il signore si è arrabbiato ma io ho detto no".

E mentre parla tiene fra le mani una riproduzione di una chiave antica, è di ferro nera, pesante, con la testa ad anello, la accarezza come se la plasmasse, la tocca. Si vede che c'è amore per la materia.

"Un'altra volta è arrivato un signore che aveva una casa in Abruzzo che stava ristrutturando. Sotto al fienile che aveva abbattuto c'era una botola e lì ha trovato un baule con dei decori d'oro chiuso da due serrature antiche che avevano dei grossi punzoni. Pretendeva che io l'aprissi subito magari rompendo tutto, per vedere cosa c'era dentro. Ci voleva del tempo e il signore non aveva pazienza. Magari quando l'avrà aperta chissà come ci ha trovato monete d'oro come si usava un tempo. Ma non lo saprò mai".

Tornando indietro rifarebbe questo mestiere?
"No, forse no o magari sì. Il fatto è che andrò in pensione e la pensione non basterà per vivere e chissà dovrò fare un altro lavoro. Io mi ci sono trovato a fare questo mestiere ma alla fine non mi è dispiaciuto".

Ha conservato per sé delle chiavi particolari?
"Sì, ho rivestito una botte di legno con tutte chiavi antiche. Sono belle da vedere. Si capisce che sono belle chiavi e che dietro c'è un lavoro fatto artigianalmente e con fatica. Non mi faccia parlare, la prego, è difficile spiegare".

A volte le parole non servono davvero. Lo sguardo e la gestualità bastano a trasmettere l'amore che questo signore ha per il suo mestiere e soprattutto il rispetto per il suo lavoro e per quello degli altri . Con grande dignità e umiltà. E' un peccato che un'esperienza del genere sia destinata a finire così, con un'altra bottega 'storica' che chiude i battenti a decremento di un patrimonio che è di tutti noi.