di Maurizio Iorio
(maurizio.iorio@rai.it)
The Rolling Stones – Grrr!
Cinquant’anni. Più della vita media di buona parte degli abitanti del pianeta. Ma i Rolling Stones non sono persone normali, sono la band più longeva della storia del rock, e celebrano il mezzo secolo di onorata carriera con “Grrrr!”, un cofanetto di 3 cd e gadget vari, classico cadeau natalizio. Cinquanta canzoni, libretto fotografico, cartoline, memorabilia, ad un prezzo decisamente abbordabile (almeno all’estero). Per gli assatanati (nel caso degli Stones l’epiteto è sacrosanto) c’è anche la versione super deluxe , 80 canzoni, un vinile, un libro e chissà, forse anche una bambola gonfiabile. Inutile ripassare la storia di Mick Jagger e dei suoi compari, la conoscono tutti, ed occupa un intero sussidiario. Neanche vale la pensa di ricordare tutti gli hit contenuti in questa compilation. Ne hanno fatti davvero tanti, e quando si guarda la tracklist ci si accorge sempre che manca qualcosa. Su 50 brani solo due gli inediti, “Doom and gloom” e “One more shot” (ancora un colpo, quasi profetico), in perfetto stile Stones, Jagger che caccia la linguaccia e Keith Richard che violenta la chitarra. Cui prodest, verrebbe da chiedersi? Prodest, prodest. Oltre al fatto che farà incassare milioni di sterline alla band, “Grrr!” è il perfetto autoregalo di Natale per tutti quelli che non riescono ancora ad accettare che esista la musica inconsistente, quella che passa da Itunes al lettore mp3 senza transitare per le mani. Ecco perché “prodest”.
Caroline Keating – Silver heart (Glitterhouse)
Chissà se Caroline Keating, giovane cantautrice canadese, è l’ultima delle prime o la prima delle ultime. Regina Spektor, Feist, Selah Sue, Emely Sandé, Diane Birch sono solo alcune delle giovani leve del folk-pop-rock al femminile, che sforna talentuose ragazze come se piovesse, tutte più o meno nordiche, tutte più o meno introverse e meditative, tutte più o meno simili. Non spicca sulle altre Caroline Keating, una bella voce armata di pianoforte, che esordisce con “Silver heart” sul difficile terreno del pop alternativo. Ma neanche si mimetizza nel gruppo. Perché già la presenza, nella band, di musicisti di valore come Jeremy Gara degli Arcade Fire alla batteria, Sebastian Chow degli Islands al violino e Matthew Perrin al contrabbasso, conferisce all’opera un notevole valore aggiunto. Data la provenienza geografica, non ci si poteva certo aspettare un suono creolo. Ecco quindi le classiche melodie sussurrate, fra il celtico e l’islandese, buone per ghiacci e venti freddi, per crepuscoli piovosi ed albe brumose. Melodie ridisegnate anche con il corno francese e l’accordion, che aiutano a tracciare il profilo sentimentale dei testi: amore, solitudine, malinconia, introspezione, pudore. Un album educato, scritto e cantato sottotraccia, che alterna brani in solitaria a pezzi più sbarazzini, come lo swingato omaggio a Billy Joel nell’omonima canzone (“Ascoltavo Billy Joel tutta la notte/mi veniva da piangere su ‘New York state of mind’/ pensavo di essere l’unica che dicevi di amare/ senza il trucco, ero l’unica/ dove sei ora?) . Insomma, “Silver heart” si fa ascoltare senza dover scomodare meccanismi auricolari complessi, ma non invita neanche a ballare sui tavoli.