di Laura Mandolesi Ferrini
(l.mandolesi@rai.it)
La rappresentazione della natura nell' antichità andava oltre la semplice funzione decorativa. A svelare l'intimo rapporto che i nostri antenati avevano con il mondo delle piante, vi è il lavoro di una botanica, Giulia Caneva (Università Roma Tre), con un libro che le è valso il Grand Prix dell’European Union Prize for Cultural Heritage/Europa Nostra Awards 2012: Il Codice botanico di Augusto: parlare al popolo con le immagini della natura.
L' Ara Pacis, l’altare che Augusto inaugurò nel 9 a. C., celebrava i patti sanciti con le fino ad allora ribelli popolazioni nordiche dell' impero e inaugurava un'epoca di pace, la Pax Augustea. Oggi dà il nome al Museo dell'Ara Pacis, ed è il centro attorno a cui ruotano mostre ed eventi. Ma all’epoca di Augusto l’altare, con il suo fregio floreale che corre tutto intorno al perimetro, offriva un sistema di scrittura denso e complesso a vari livelli e a tutto il popolo. Una scrittura da leggere attraverso la conoscenza della natura e dei suoi simboli, segno di un sapere straordinario che noi oggi abbiamo irrimediabilmente perso. A decifrare questa scrittura, durante i lavori per il rinnovamento del polo museale, è stata chiamata una botanica, Giulia Caneva, le cui analisi hanno portato a un' interpretazione illuminante: quella che sembrava una semplice decorazione, si è rivelata essere un vero sistema di simboli dove nulla è lasciato al caso. Una rete di messaggi allegorici, codificati e riconosciuti dalla comunità, tanto da far pensare a un diffuso e condiviso "alfabeto botanico ". La prima intuizione, ci racconta la professoressa Caneva, nasce da una domanda: "Che senso può avere un fregio floreale tanto esteso?" A un' osservazione più attenta inoltre si scoprivano dei pigmenti colorati.
Insomma, professoressa Caneva, ci può raccontare la prima scintilla che ha dato il via alla sua ricerca?
“Il primo tema della ricerca è stato quello di capire se la rappresentazione delle piante nel paramento esterno dell’Ara Pacis fosse fedele alla realtà naturale o prettamente fantastica. La risposta è stata che si trattava contemporaneamente di una rappresentazione fantastica ed estremamente realistica. L’immagine infatti deriva dalla fusione di dettagli di centinaia di elementi veri, fedelmente riprodotti, ma rappresentati in maniera impossibile nella realtà naturale, ovvero fantastica. Essi sono in continua trasformazione fra l’uno e l’altro ed il colore avrebbe contribuito a evidenziare le singole entità”.
La lettura del fregio ha vari piani di interpretazione. Oltre a quello botanico e cromatico, c'è anche un uso non casuale della geometria e dei numeri. Cosa tutto questo voleva comunicare?
“Tutto questo rappresenta il messaggio della rinascita di una Roma “divina”. Dopo gli anni delle guerre civili che avevano seguito l’omicidio di Cesare, traspare l’augurio di prosperità che si propaga nel mondo. Roma appare elemento di fondazione ed espansione del proprio modello di armonia e ordine, in un processo che sembra destinato a diffondersi nello spazio e nel tempo all’infinito. Tutto questo non si discosta da quanto sappiamo fosse propagandato dalla politica augustea e come ci viene cantato da Virgilio ed Orazio”.
Ma il popolo avrebbe capito?
“Certamente si. Il Popolo, seppur incolto, avrebbe saputo cogliere alcuni aspetti fondamentali, legati ad un rapporto atavico e quotidiano con la natura: colori, forme, analogie, avrebbero guidato l’interpretazione di uno schema la cui forza sarebbe stata percettibile anche a persone totalmente analfabete, ma ben abituate a leggere i segni del cielo, della terra e del mare; il Senato e gli strati più alti della popolazione sarebbero stati in grado di leggere le allegorie più nascoste”.
Possiamo azzardarci a ipotizzare che al di là del messaggio politico, il fregio avesse anche un ruolo rituale di consolidamento della comunità e di unione di questa con il cosmo?
“Il messaggio politico è anche un messaggio ideologico. Esso rappresenta anche un’emulazione della Natura e di ciò che possiamo considerare le sue regole. In tale contesto, non si può trascurare il ruolo che potrebbero aver avuto le teorie platoniche in particolare relativamente all’idea dell’Anima universale o Anima mundi- quale sostanza divina- del mondo. Il mondo nella sua totalità sarebbe un grande organismo vivente, costituito da un corpo e da un’anima che lo plasmerebbe secondo leggi ben precise. Dallo spazio inizialmente indeterminato inizierebbe la differenziazione ordinata dell’iniziale massa informe, ed i rapporti matematici recherebbero simmetria e proporzione, così come sostenuto dai pitagorici. Mentre il mondo delle idee mostrerebbe una rigida fissità, il mondo sensibile, quello della natura, sarebbe sottoposto ad un continuo divenire e mutare. Così, nel ricordare la divinità della Natura per l’uomo antico, si possono menzionare le parole di Seneca “Che cos’è la Natura se non Dio stesso e la ragione divina immanente al mondo nella sua totalità e in ogni sua parte?” (Dei benefici, IV, 7) o di Plinio il Vecchio che la definisce “Madre di ogni cosa”, osservando che “Il mondo, questo insieme che ci si è compiaciuti di chiamare anche in modo diverso “il cielo”, la cui volta copre la vita di tutto l’universo, va considerato una divinità, eterna, senza inizio e senza fine…”(Nat. Hist. XXXVII, 205)”.
Giulia Caneva è Professore Ordinario di Botanica Ambientale ed Applicata presso l'Università di Roma Tre. Docente in diversi corsi nazionali e internazionali nel settore della conservazione del patrimonio artistico e monumentale. Ha pubblicato 12 testi monografici, fra cui Il mondo di Cerere nella Loggia di Psiche, Palombi Ed., e La biologia nel restauro, Nardini Ed.
Nelle foto: In alto ipotesi di restituzione cromatica in fondo rosso, al centro elementi associati all'idea della forza vegetativa, in basso l'acanto, la lira e Apollo.Immagini tratte da: Il Cdice botanico di Augusto. Ara Pacis: parlare al popolo attraverso le immagini della natura, Gangemi Editore