“Si chiude un anno in cui è stato centrale il problema della sopravvivenza, che non ha risparmiato nessun soggetto della società, individuale o collettivo, economico o istituzionale. Sono entrati in gioco fenomeni enormi (la speculazione internazionale, la crisi dell’euro, l’impotenza dell’apparato europeo, la modifica degli assetti geopolitici internazionali), ci sono piovuti addosso eventi estremi (la dinamica dello spread e il pericolo di default) e abbiamo vissuto la crisi delle sedi della sovranità, esautorate dall’impersonale potere dei mercati …”. Questo il quadro dipinto dal Censis nell’analizzare la situazione sociale del Paese nel rapporto di fine anno presentato come da tradizione nella sede romana del Cnel.
In questo contesto oggettivamente drammatica le istituzioni politiche e i soggetti sociali sono stati quasi dei “separati in casa”: da una parte il governo con le sue strategie di rigore (riduzione delle spese, riforme settoriali, razionalizzazione dell’apparato pubblico) , dall’altra la realtà sociale con altrettanto complicate strategie di riposizionamento, resistenza e sopravvivenza.
In particolare nel rapporto si analizzano tre grandi spinte sociali che vengono definite: “Restanza, differenza, riposizionamento”. Cosa vuole dire “restanza”? Significa fare perno sul nostro tradizionale modello di sviluppo: il valore dell’impegno personale, la funzione suppletiva della famiglia rispetto ai buchi della copertura del “welfare pubblico”, la solidarietà diffusa e l’associazionismo, la valorizzazione del territorio come dimensione strategica di competitività del sistema.
Poi, dall’analisi del Censis, emerge una seconda spinta: quella della voglia di personalizzazione e una crescente cultura della differenza che determina ad esempio il “politeismo alimentare”; o la moltiplicazione dei format di vendita; la diffusione degli acquisti on line e la nascita di gruppi di acquisto solidale; la personalizzazione dell’utilizzo dei media anche per l’accesso alle fonti di informazione “secondo palinsesti multimediali fai da te” e l’esplosione dei social network.
Infine il “riposizionamento”: un emergente orientamento dei giovani verso percorsi di formazione tecnico professionale, nel tentativo di avere più occasioni di inserimento nel mondo del lavoro (in un anno è stato registrato un incremento non altissimo ma significativo, l’1,9%, di preiscrizioni agli istituti tecnici e professionali) e un non lusinghiero decremento di iscrizioni all’università (-6,3%, con segnali di ulteriore calo per l’anno in corso) ; la rinnovata vitalità di pezzi del tessuto produttivo (le cooperative, le imprese femminili che diminuiscono ma meno di quelle maschili, le start-up nell’alta tecnologia e le “green technologies); l’aumento di quote di mercato italiano nelle aree emergenti del mondo grazie a “specializzazioni produttive diverse dal tradizionale made in Italy”, quali la metallurgia, la chimica e la farmaceutica.
Dietro a questi segnali di “resistenza” coraggiosa della società italiana di fronte alla crisi economica mondiale ed europea, oltre che nazionale, si intravedono anche alcuni rischi:lo smottamento del ceto medio; reazioni di rabbia; protesta a volte senza rappresentanza.
Ci sono infatti importanti segnali di malessere e disagio economico che emergono: 2,5 milioni di famiglie hanno venduto oro negli ultimi due anni o mobili e opere d’arte; l’85% degli italiani ha eliminato gli sprechi nel consumo; il 73% va a caccia di offerte e alimenti poco costosi. Significativa anche la “messa in circuito” del patrimonio immobiliare posseduto, affittando alloggi non utilizzati o trasformando il proprio in “Bed & Breakfast” ( il fenomeno è in aumento nelle grandi città). C’è poi chi coltiva direttamente gli ortaggi per il consumo quotidiano (2,7 milioni) e chi si prepara regolarmente cibi in casa, come pane,conserve, gelati (11 milioni). E ancora: il 62% degli italiani ha ridotto gli spostamenti in auto e scooter, si registra il 25% di immatricolazioni in meno nel mercato dell’auto rispetto allo scorso anno e, specularmente, c’è il boom delle biciclette (più di 3,5 milioni di due ruote acquistate in un biennio).
Poi il dato più preoccupante: dal 2008 a oggi le strutture commerciali che hanno chiuso sono state più di 446 mila, a fronte di poco più di 319 mila aperture. Nella prima metà del 2012 il saldo resta negativo (-24.390 imprese). Inoltre un’ulteriore conferma: anche l’immobiliare è in crisi e dal 2008 a oggi il numero di mutui per l’acquisto di abitazioni è calato del 20%.
Di contro avanza l’industria digitale. L’utenza del web è aumentata del 9% nell’ultimo anno. Il tasso di penetrazione sale al 62,1%, soltanto dieci anni fa era fermo al 27,8%. Gli smartphone crescono del 10 % in un anno. Quasi la metà della popolazione utilizza almeno un social network e si può parlare di “un e-consumatore competente”.
Nel complesso si può parlare comunque di “smottamento del ceto medio”. “Il reddito medio degli italiani si riduce a causa del difficile passaggio dell’economia, ma anche per effetto dei profondi mutamenti della nostra struttura sociale, che hanno affievolito la proverbiale capacità delle famiglie di produrre reddito e accumulare ricchezza”, si legge nel rapporto.
Accanto a questi elementi il crollo morale della politica e la corruzione sono ritenute tra le cause principale della crisi: lo pensa il 43% degli italiani. Seguono il debito pubblico legato alle clientele e agli sprechi e l’evasione fiscale. Per questo il sentimento più diffuso tra gli italiani è la rabbia (52,3%). C’è pertanto una forte disponibilità dell’opinione pubblica, diffusa soprattutto tra i più giovani, all’indignazione e alla mobilitazione “contro”.
Il Censis fotografa una realtà complessa, in cui da una parte emergono politiche di vertice volte “ad allineare il sistema al rigore predicata dalle più importanti sedi europee”, dall’altra milioni di persone impegnate a “sopravvivere alla crisi” con “un’intima tensione a cambiare attraverso processi di riposizionamento”. La nostra società è stata investita dal “doppio tsunami” della crisi economica finanziaria e del “crollo reputazionale di forze politiche e istituzioni”, ciò nonostante emerge dall’analisi del apporto una serietà collettiva del Paese, sia nella preoccupazione come nell’impegno, che è importante salvaguardare.
(R. P.)