di Paola Scaramozzino
(p.scaramozzino@rai.it)
Entrare nell’atelier dell’Antica Manifattura Cappelli di Patrizia Fabri, nel cuore del quartiere Prati, a Roma, è come entrare in un foyer di un teatro o dentro un’atmosfera da fiaba, magari proprio quella di Alice nel paese delle meraviglie, cappellaio matto compreso. A contribuire all’ambiente saranno sicuramente le oltre mille forme di legno levigato e lucido dei vari tipi di cappelli, distribuite a parete, il bancone da lavoro, gli specchi, le luci e il vapore che esce dalla vaporiera. Un mestiere antico quello del cappellaio che Sandro Bellucci ha appreso da ragazzo quando nel 1982. a 14 anni, durante le vacanze di Natale entrava nel negozio del signor Loris Cirri, artigiano toscano che nella sua terra aveva avviato un laboratorio di cappelli con 50 operai e che nel 1946 conquistò il mercato romano producendo solo cappelli da donna.
“La scuola chiudeva per tutto il mese di gennaio per una ristrutturazione – ci racconta Bellucci- e allora degli amici dei miei genitori consigliarono loro di mandarmi a “bottega”, così per “avvicinarmi” al lavoro. Sono entrato e ci sono rimasto non perché capissi molto di questo mestiere ma il signor Cirri mi ha fatto sentire subito a casa, in un ambiente familiare”.
Scriviamo di persone davvero di un altro secolo ma anche di un altro stile, di una nobiltà di animo ormai rara. Il signor Cirri quando si ammalò e si rese conto di non poter proseguire l’attività trovò un altro lavoro al cappellaio e ad una modista. Una giovanissima cliente, Patrizia Fabri appunto, studi di architettura e una grande inventiva e manualità, era solo una delle tante clienti. Comprava i cappelli e li personalizzava. Un negozio glieli vide e gliene chiese 25. Quando nel 2002 seppe della chiusura dell’antica bottega, si buttò, ne prese la gestione e oggi è la proprietaria di quella che è diventata l’ Antica Manifattura Cappelli, atelier riconosciuto dal Comune di Roma come antica bottega storica. “Io e la modista appena abbiamo saputo che la signora Patrizia aveva rilevato l’attività, non abbiamo avuto esitazioni, ci siamo licenziati e siamo qui felici di lavorare con lei. Continuiamo a fare i cappelli della tradizione per donna, uomo e bambino, quelli storici per le scene ma lavoriamo anche con la moda e quindi si sperimenta e si creano forme innovative, quasi sculturali. Adesso di cappellai a Roma siamo in rimasti in due – ci racconta il maestro Bellucci- l’altro “giovane quarantenne” si occupa esclusivamente di cappelli d’epoca per il cinema e il teatro. Anche noi li facciamo. Quelli della serie Tv “Orgoglio” sono i nostri”.
Cosa l’appassiona in questo mestiere?
“Forse è l’atto di modellare. Fare un cilindro, ad esempio, richiede una serie di fasi di lavorazioni. Il feltro arriva informe e poi va lavorato con la colla, va asciugato, inumidito per 5/6 ore fino a che prende la forma. Il feltro bagnato va messo nella vaporiera perché solo così diventa plasmabile. Poi si passa ripetutamente il ferro in ghisa bollente e la pezza bagnata, si inchioda e infine va in forno ad asciugare. Le modiste completano l’opera con le rifiniture. Ci vuole più di un giorno per confezionare un cilindro”.
Cloche, pagoda gigante, visierina, basco, touque, tamburello e ancora canotto o paglietta , il Fedora che è quello che erroneamente si chiama Borsalino e il celeberrimo panama.
Ce n’è uno in bella mostra. Perché è così pregiato e costoso?
“Il panama è una foglia di tequila che si intreccia e si lascia asciugare. A seconda di quanto è tagliata finemente il cappello che richiede un ambiente umido, diventa più elastico. Più è fine la tramatura, più il panama è di valore. Ci vogliono dai 4 ai sei mesi per confezionarne uno e il prezzo che varia da un minimo di un centinaio di euro può arrivare anche ai 5 mila. L’estate c’è parecchia gente che è disposta a spendere per un copricapo così esclusivo”.
Chi sono i vostri clienti?
“Le persone che vengono appartengono a una fascia medio-alta perché ci differenziamo proprio per il prodotto che vendiamo che ha materiali di grande pregio. Tanti i giovani che vanno riscoprendo il cappello anche quelli che andavano una volta”.
Si può entrare nell’atelier anonimi e si esce dotati di una forte personalità. Bellissimi quelli sfolgoranti e dalle fogge avveniristiche usati nelle sfilate di moda.
Consiglierebbe il suo mestiere a un ragazzo?
“Perché no. Ma dovrebbe venire qui a bottega, come ho fatto io, e imparare vedendo e seguendo attentamente tutte le fasi. Per anni. Purtroppo non c’è una scuola per fare i cappellai. Forse, quando mi ritirerò, ne aprirò io una, è un mestiere che merita e poi ci si appassiona, ti dà delle soddisfazioni”.
E fra i fumi della vaporiera e il calore del forno, cappelli in forma e altri sospesi in aria , si chiude come a teatro, la scena su questo affascinante mestiere.