di Valerio Ruggiero
L’incubo della depressione economica e l’ombra della corruzione rampante accompagnano i romeni al voto di domenica 9 dicembre. Il secondo Paese più povero dell’Unione europea (dopo la Bulgaria) elegge il nuovo Parlamento sullo sfondo dello scontro istituzionale tra il presidente conservatore, Traian Basescu, e il premier socialdemocratico, Victor Ponta.
Il braccio di ferro istituzionale
La crisi politica in Romania è la più grave dalla caduta, nel 1989, del regime di Ceausescu. Il voto chiude un “annus horribilis” cominciato con le proteste di piazza contro le misure di austerità decise dal governo conservatore di Emil Boc, che d’intesa con Basescu ha tagliato pesantemente stipendi e pensioni, in molti casi già vicini alla soglia della povertà, e ha aumentato l’Iva. Settimane di rivolta nelle strade hanno costretto Boc alle dimissioni. E non è andata meglio al suo successore, l’ex capo dei servizi segreti Mihai Ungureanu: il suo governo è durato appena tre mesi, fino alla sfiducia parlamentare.
Il presidente è stato allora costretto a nominare premier il leader dell’opposizione di centrosinistra, il 39enne Ponta. Che non ha perso tempo per espandere il suo potere: dopo la vittoria alle amministrative, ha spinto il Parlamento a sospendere Basescu dalle funzioni e ad indire un referendum per la sua destituzione, con l’accusa di aver violato la Costituzione.
Ma il 29 luglio solo il 46% dei romeni è andato a votare per cacciare il presidente: il quorum non è stato raggiunto e Basescu è rimasto in sella, apparentemente saldo fino alla scadenza naturale del mandato, nel 2014.
La coabitazione tra presidente e premier è stata difficile fin dal primo momento e così continuerà ad essere se, come indicano i sondaggi, la coalizione dell’Unione Social-Liberale di Ponta vincerà le elezioni. Il rischio, però, è che dal voto esca un Parlamento frammentato, senza una maggioranza certa, con la crisi economica e finanziaria che incalza.
Fondo monetario e Unione europea sorvegliano il voto
Osservatori attenti dell’esito delle elezioni sono il Fondo monetario internazionale e l’Unione europea, che in pratica pagano gli stipendi e le pensioni del settore pubblico romeno. L’anno prossimo termina l’erogazione del maxi-prestito di 5 miliardi di euro: sia l’Unione Social-Liberale, sia l’Alleanza della Destra Romena, all’opposizione, si sono impegnati a raggiungere l’intesa per nuovi prestiti, fondamentali per rinsaldare la fiducia degli investitori. Sebbene finora il governo abbia rispettato le condizioni dettate dall’estero per i finanziamenti - con costi sociali elevatissimi - il proseguimento delle politiche di austerità presuppone una stabilità non facile da garantire. Anche perché il Partito del Popolo guidato dal magnate dei media Dan Diaconesco, accreditato nei sondaggi del 12-15%, non fa mistero di voler allentare la morsa delle misure improntate al rigore economico e finanziario.
Ma l’Unione europea guarda alle elezioni con una preoccupazione in più: teme che sia a rischio la tenuta della democrazia romena, in un contesto di diffusissima corruzione e di conflitto tra i poteri dello Stato.
I lavoratori che non ci sono
Tante le sfide che attendono il vincitore delle elezioni. Una su tutte; fermare l’emorragia della forza lavoro verso gli altri Paesi europei, Italia e Spagna in prima fila. L’ingresso di Bucarest nell’Unione, nel 2007, non ha arrestato l’esodo di romeni, soprattutto giovani, che hanno lasciato il Paese in cerca di fortuna, abbattendo del 12% in dieci anni la popolazione rimasta nei confini nazionali, scesa ormai a 19 milioni di persone.
Solo in Italia, gli immigrati romeni censiti dall’Istat sono 968mila. Ma il loro numero reale, secondo le stime più recenti, si aggira intorno al milione e mezzo: sono la più numerosa comunità di stranieri presente nel nostro Paese.
Le conseguenze dell'emigrazione di massa sono dirompenti. Si calcola che in Romania siano rimaste appena 5 milioni di persone a pagare le tasse: il resto sono bambini, anziani, agricoltori sulla soglia della sussistenza, lavoratori in nero. Come sia possibile rilanciare la crescita in queste condizioni, attirando nuovi investimenti e riportando a casa almeno una parte della diaspora, resta un mistero che difficilmente le urne riusciranno a sciogliere.
Nella foto: Victor Ponta (a sinistra) e Traian Basescu