Storie di violenze, minacce e intimidazioni


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Giornaliste in prima linea

Donne (coraggiose) contro la mafia e il malaffare

di Fabrizio de Jorio
(fa.dejorio@rai.it)

“Nella mia terra a Casal di Principe, Aversa, Casapesenna, per trent’anni abbiamo assistito al suicidio dello Stato. La camorra prolifera dove lo Stato non c’è e a Casal di Principe lo Stato è mancato e la Camorra detta legge”. Parole dure, pesanti pronunciate dalla giornalista di provincia, Marilena Natale, alla Camera dei deputati in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza alla donne, durante il convegno “Il velo squarciato, intimidazioni e violenze contro le giornaliste”, organizzato dall’Associazione Stampa Romana e dall’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione. Sul palco nella sala Aldo Moro, insieme alle 4 giornaliste, Alberto Spampinato presidente dell’Osservatorio, Nella Condorelli e Arianna Voto della commissione Diritti e Pari opportunità dell’ASR, che hanno sottolineato “come la violenza contro le donne, contro le giornaliste che fanno solo il loro mestiere, rischiando la vita per poche decine di euro, è il frutto anche di vuoti legislativi e culturali”. Le giornaliste anticamorra, antimafia, ha detto Arianna Voto, “forse più dei loro colleghi uomini subiscono violenze e minacce perché, in quanto donne, osano sfidare il potere patriarcale dei clan ed espongono se stesse e le loro famiglie alla forza brutale e al ricatto dei boss”, per questo è ancora più importante “il ruolo delle giornalista sul territorio e di una cultura delle pari opportunità, della parità di genere e della dignità della donna, della persona”.

Marilena Natale: “Possono uccidere me, non le mie idee”
La storia di Marilena Natale, cronista della Gazzetta di Caserta, coraggiosa, piccola di statura, capelli corvini, sguardo fiero, donna e mamma, nasce in terra di Camorra. E’ la storia di una giornalista, intimidita e picchiata dai clan camorristici, che ha rischiato perfino la morte ma che con coraggio ha affrontato i clan semplicemente facendo il suo lavoro, con le sue inchieste, svelando nomi e retroscena delle collusioni tra camorra, imprenditoria e politica per l’assegnazione degli appalti e la spartizione delle commesse pubbliche. Ogni giorno rischia la sua vita sostenuta dal suo impegno di informare l’opinione pubblica perché è convinta “che se tutti seguiamo l’esempio di Borsellino, le cose possono cambiare, anche qui, in terra di camorra, a Casal di Principe”.

“Sono mamma di un ragazzo di 17 anni –dice con gli occhi che brillano- e nonostante le minacce, non voglio lasciare la mia terra”. A causa delle sue inchieste sul clan dei Casalesi, stava per essere uccisa da uno dei sicari della camorra. “Un giorno, mentre ero nel bar a Casal di Principe dove andavo di solito-racconta- sono arrivati a carabinieri e mi hanno prelevata e portata lontano perché avevano scoperto che proprio quel giorno un sicario del clan di Schiavone avrebbe dovuto uccidermi dentro il bar”.

Marilena vive ad Aversa, ma spesso incontra Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Schiavone detto Sandokan, il fondatore del clan dei Casalesi detenuto dal 1998 al 41bis. La moglie del boss che l’ha minacciata più volte vive a Casal di Principe in una villa divisa a metà: da una parte, quella confiscata, c’è una comunità di ragazzi autistici, dall’altra ci vive la famiglia Schiavone. “Questa signora ha sette figli ed io nei miei articoli scrivo spesso anche di lei perché -in assenza dei 5 figli maschi, tre dei quali in carcere per reati legati al clan- di fatto si occupa delle questioni familiari, una sorta di manager dell’illecito”. Stanca di queste continue minacce ed intimidazioni Marilena decide di affrontare la donna. “Sono andata a casa sua e le ho detto: sono una mamma come te, ma i miei figli crescono bene, siamo noi madri responsabili dell’educazione dei nostri figli e se non si comportano bene la colpa non è solo loro è anche nostra. I tuoi figli sono in galera, di chi è la colpa, mia? Ora che mi vuoi fare? Mi vuoi ammazzare?” Da quel giorno la moglie del fondatore del clan dei Casalesi la rispetta e non la minaccia più.

Una donna coraggio, una giornalista in prima linea, come accade alle croniste che lavorano in zone permeate dalla camorra come, appunto, Casal di Principe e il Casertano. Lavorare in una terra così permeata di cultura mafiosa non fa paura? “Certo- risponde Marilena- la paura di lasciare i figli di non riuscire a completare il lavoro che sto facendo per la mia terra. Vivere a Casal di Principe dove c’è una concentrazione delle famiglie di camorra di potenti è difficile, soprattutto se si è donna. Ma non ho paura e non sono un’eroina, faccio solo il mio lavoro, forse sono un po’ incosciente ma, come dice Borsellino, ‘possono uccidere me ma le idee restano”. Le inchieste firmate da Marilena Natale contribuiscono a fare luce sulle molteplici attività criminali della camorra e delle collusioni con la politica. Il 6 dicembre dello scorso anno, in una vasta operazione della Dda partenopea, viene decapitato il consiglio comunale di Casal di Principe che qualche mese dopo viene sciolto dal ministero dell’Interno per infiltrazioni mafiose. Ma il direttore del giornale, La Gazzetta di Caserta non ha paura? “Abbiamo subito anche un attentato in redazione, ma sia il direttore sia l’editore- spiega Marilena- mi hanno sempre sostenuta nelle mie inchieste”.

In una terra dove non c’è lavoro, dove i ragazzi non hanno prospettive c’è bisogno di punti di riferimento e valori diversi. “Le donne hanno una grande responsabilità- ci tiene a sottolineare Marilena- e nelle proprietà confiscate ai clan le donne lavorano e producono anche reddito o si svolgono attività sociali”. E’ il caso della sartoria a Castel Volturno dove le donne nigeriane fanno oggetti di artigianato, borse, cuscini o a Casal di Principe, nella parte della villa confiscata al clan Schiavone, dove c’è una comunità di bambini autistici che realizzano dei biscottini. “Pensate che per una sorta di provocazione, con i prodotti alimentari realizzati nelle proprietà confiscate alla Camorra noi ci confezioniamo il pacco della Camorra”. Marilena mostra un cofanetto con pasta, liquori, olio, dolci, una sorta di cesto natalizio. “Questo è il ‘pacco della camorra’- spiega- un piccolo cofanetto con tanti prodotti alimentari tra cui un amaro che si chiama Nco, acronimo che una volta stava per Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e ora invece significa Nuova Cucina Organizzata. Noi vogliamo far rinascere la nostra terra”.

Il saluto del Presidente della Repubblica Napolitano e del segretario generale, Donato Marra alle 4 giornaliste. Alberto Spampinato, presidente dell’Osservatorio: in Italia nel 2012 quasi 300 i giornalisti minacciati
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso "vivo apprezzamento" per l'iniziativa” di Stampa Romana e dell’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione condannando “intimidazioni e violenze contro le giornaliste”. Un’iniziativa, si legge nel messaggio del Quirinale, che contribuisce “a sensibilizzare l'opinione pubblica su una vera e propria emergenza sociale al fine di coglierne la portata e le dimensioni effettive”. Donato Marra, segretario generale della presidenza della Repubblica, in un messaggio letto durante la conferenza, ha invocato “l'esigenza di interventi per tutelare con maggiore efficacia le donne che con coraggio manifestano situazioni di abuso, il capo dello stato ha più volte sottolineato la necessità di promuovere una cultura diffusa che incida 'sugli squilibri persistenti e capillari nelle relazioni tra i generi' che riducono la donna 'da soggetto ad oggetto' per riaffermare una concezione del ruolo femminile rispettoso della dignità della persona. E’ con questo spirito che il presidente Napolitano rivolge a tutti i partecipanti e, in particolare, alle giornaliste Luisa Betti, Ester Castano, Marilù Mastrogiovanni e Marilena Natale che hanno subito intimidazioni, minacce e violenze a causa della loro attività professionale, un cordiale saluto augurale al quale unisco il mio personale".

Osservatorio per l’Informazione: in aumento il fenomeno dei giornalisti minacciati. Nel 2012 quasi trecento i colleghi coinvolti Butturini: far crescere una cultura dell’informazione
Alberto Spampinato, presidente dell’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione- fratello di Giovanni, cronista del quotidiano L’Ora di Palermo, assassinato perché cercava la verità- sottolinea come senza “queste giornaliste coraggiose tante notizie non sarebbero state pubblicate e sarebbero rimaste nel cassetto”. I numeri dei giornalisti minacciati sono impressionanti: “Nel 2011- spiega Spampinato- sono stati 324 i colleghi coinvolti nelle minacce e intimidazioni, mentre nel 2012 fino ad ottobre, arriviamo a quasi 300”. Un fenomeno preoccupante e diffuso soprattutto al sud che sulle pagine del sito dell’Osservatorio Ossigeno trova ampia eco e soprattutto sostengo per tutti i giornalisti che rischiano la loro vita spesso per poche decine di euro ad articolo.
“Il grande deficit in Italia, a parte quello economico, è quello della cultura, delle culture in genere, per questo dobbiamo far crescere in Italia la cultura dell’informazione e di genere”, ha detto il segretario dell’Associazione Stampa romana, Paolo Butturini e “insieme ad Ossigeno e alla Federazione nazionale della Stampa, siamo in prima linea per il sostegno anche legale ai colleghi e alle colleghe che con le loro inchieste fanno il loro mestiere rischiando la propria vita tutti i giorni”. Butturini durante il suo intervento ha poi fatto riferimento all’editoriale che ha portato alla condanna di Sallusti, direttore del Giornale e agli arresti domiciliari: “Quello è stato un pessimo modo di fare giornalismo perché l’articolo incriminato, scritto da Farina, per fortuna espulso dall’Ordine dei Giornalisti, offende il senso comune della civiltà non solo delle donne ma dell’intero Paese. Per questo- ha aggiunto- dovremmo chiedere scusa come categoria per aver ospitato sulle pagine di un giornale una notizia falsa e diffamatoria, secondo la quale un giudice tutelare di Torino avrebbe costretto una minorenne ad abortire”.

Il caso di Marilù Mastrogiovanni
Tra i casi più eclatanti la vicenda di Marilù Mastrogiovanni, direttrice e fondatrice nel 2003 del Tacco d’Italia, giornale on line con sede a Casarano, in provincia di Lecce. Collaboratrice di diversi quotidiani, tra i quali Il Fatto, Il Manifesto, Il Sole 24Ore, con le sue inchieste ha messo in luce le strategie della Sacra Corona Unita che in Puglia riusciva a far aggiudicare alle imprese “amiche” gli appalti pubblici. Un giro milioni di euro e di imprese che con il metodo delle scatole cinesi, sfuggono dalle inchieste dalla magistratura per ricomparire “pulite” al fine di partecipare ai bandi pubblici. Marilù Mastrogiovanni, 42 anni, due figli, oltre a minacce, intimidazioni e furti è oggetto di querele temerarie finalizzate a farla desidere. Più volte è stata minacciata dalla figlia del boss della Sacra Corona Unita. Nel 2007 subisce un furto nella redazione del suo giornale. “Non sono entrati dalla porta, né dalla finestra -dice- ma dal muro, sfondando una parete.” Un modo per dire, “noi possiamo fare tutto qui, nessuno ci può fermare, quindi stai attenta”. Rubati 5 computer, il server con gli archivi delle notizie e delle inchieste pubblicate che svelavano i traffici della cosca pugliese che si concentravano sulla lucrosa gestione dello smaltimento dei rifiuti e degli appalti nell’edilizia. Uno di questi computer è stato fatto ritrovare sul marciapiede di fronte la redazione. “Solo grazie all’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione siamo stati sostenuti e tutelati nella nostra battaglia per il diritto di informare l’opinione pubblica”. Marilù racconta che ogni volta che usciva un’inchiesta come quelle sui rifiuti tossico-nocivi gestiti dalla cosca, “la porta della redazione nottetempo veniva inondata da rifiuti. Fare il giornalista in Italia, se ti occupi di mafia e criminalità organizzata è pericoloso. Il 16% di quei trecento giornalisti minacciati quest’anno è donna”. Marilù racconta anche un episodio molto inquietante seguito alla pubblicazione di un’inchiesta che si basava su documenti ufficiali della Commissione parlamentare antimafia nella quale erano citate alcune aziende pugliesi coinvolte con la criminalità. “Qualche settimana fa ho ricevuto la telefonata di un imprenditore che si è definito ‘pulito’, che precedentemente aveva telefonato alla mia famiglia annunciando che mi avrebbe chiamato. Il signore in questione mi ha avvisata che non avrei dovuto pubblicare quei documenti anche se erano ufficiali, perché così facendo avrei rovinato le imprese”.

La storia di Ester Castano
Il caso di Ester Castano, giovanissima cronista di Sedriano, collaboratrice del settimanale Altomilanese di Magenta, si svolge al nord, un paesino dell’Hinterland milanese. A soli 22 anni, si imbatte nella corruzione e da lì iniziano le minacce e le intimidazioni. “Ho iniziato a scrivere lo scorso anno nel settimanale Altomilanese e il direttore mi chiese di occuparmi di Sedriano, piccolo paese alle porte di Milano. Così decisi di approfondire consultando i documenti ufficiali come il piano urbanistico, le delibere di Giunta, tutti gli atti pubblici così come mi aveva insegnato Nando Dalla Chiesa”. Ad ottobre del 2011 esce il suo primo articolo sul settimanale che svela alcuni illeciti del comune di Sedriano. Scatta la prima querela pretestuosa da parte del sindaco del Comune, che nel frattempo era già sotto indagine dalla magistratura e dopo un anno “viene arrestato per corruzione” ci spiega Ester Castano che continua a scrivere tanto che prima le “viene vietato da esponenti del comune di parlare con chiunque dell’amministrazione comunale stessa” e poi subisce “un’aggressione fisica da parte dell’assessore all’Urbanistica, tra l’altro una donna, solo perché le stavo scattando delle foto”. Un altro aspetto fa riflettere sulla violenza e sui metodi che vengono usati da chi è oggetto di inchieste giornalistiche. Ester racconta che a Sedriano, tempo fa, è stato incendiato lo studio di un commercialista, consigliere comunale della Giunta guidata dal sindaco indagato per corruzione. “Sono stata accusata dal sindaco medesimo e dall’addetto stampa del Comune di essere l’istigatrice a finanche la mandante, insieme alla mia testata, di questo atto gravissimo. Dichiarazioni diffamatorie, violente e false che ledono la mia dignità di persona e la mia dignità di cronista che non è facile guadagnarsi sul territorio”. Ma questa è la strategia in voga contro i giornalisti scomodi, in provincia, nelle grandi città e nelle zone a rischio criminalità di stampo mafioso.

Il caso di Luisa Betti
Luisa Betti, giornalista esperta in diritti dei minori e delle donne, seppur in misura diversa e non dalla mafie, denuncia le intimidazioni per aver indagato sugli affidamenti. Sul suo blog aveva iniziato, dopo aver raccolto informazioni e documenti al Tribunale di Minori, una campagna per la riforma dell’affido, in particolare rilevando che la Sindrome da alienazione parentale, spesso usata per togliere i fogli al genitore affetto da questa patologia, non era “neanche considerata una malattia” ma veniva “usata da psicologi ed esperti nelle consulenze anche da parte dei periti dei giudici per giustificare l’affidamento all’altro genitore, di solito il padre”. Le minacce erano giunte sul suo blog Antiviolenza con ondate di commenti, attacchi violenti e denigratori e azioni di cyber stalking, sempre da persone anonime e che si nascondevano dietro id fasulli.