di Valerio Ruggiero
Le due anime dell’Egitto tornano a contarsi nelle piazze, per decidere l’esito del braccio di ferro tra gli islamici del presidente Morsi e i laici e riformisti che guidarono la Rivoluzione contro il trentennale regime di Mubarak.
Non è un caso che l’Assemblea costituente si sia inflitta una maratona di sedici ore ininterrotte di votazioni, fino alle 5 del mattino, per approvare in corsa i 234 articoli della bozza della nuova Costituzione egiziana. La fretta è comprensibile: dalla piazza continua ad arrivare fin dentro i palazzi del potere l’eco delle proteste contro la dichiarazione costituzionale con cui il presidente Morsi si è regalato prerogative straordinarie, aggravando il conflitto con la magistratura e sollevando l’ira degli oppositori.
Dopo essere stata sottoposta al giudizio di Morsi, la bozza dovrà superare, il 15 dicembre, il vaglio degli egiziani. Ma il via libera al documento è solo la tappa più recente di un conflitto che sta spaccando in due l’Egitto. Da una parte, gli islamici della Fratellanza Musulmana e gli ancor più radicali Salafiti, che controllano gran parte delle istituzioni; dall’altra, i riformisti, laici e liberali, protagonisti della Rivoluzione del 25 gennaio 2011, che vedono traditi gli ideali per cui versarono il sangue durante i 18 lunghi giorni della disperata e vana resistenza del regime.
Lo scontro è a tutto campo. Dopo la dissoluzione da parte della Corte costituzionale, nel giugno scorso, della Camera bassa del Parlamento dominata dagli islamici, il dialogo tra i due blocchi era diventato quasi impraticabile. Laici e riformisti, oltre ai rappresentanti della Chiesa cristiana copta, hanno poi abbandonato i lavori dell’Assemblea costituente, contestandone l’orientamento fortemente islamista e, di conseguenza, la legittimità. Ma dopo il colpo di mano di Morsi le piazze, rimaste quiete salvo poche eccezioni, sono tornate a gremirsi di contestatori. Perché la posta in gioco è alta: il Paese è al bivio tra un nuovo autoritarismo di stampo religioso (le forze islamiche hanno vinto tutte le elezioni, dalle politiche alle presidenziali) e la realizzazione degli obiettivi della Primavera araba, che sembrano ormai sempre più lontani.
“La tensione continua a crescere nelle strade in tutto il Paese”, racconta dal Cairo a Televideo l’analista politica egiziana Randa Achmawi. “ Le schiere dell’opposizione diventano sempre più numerose a causa della delusione generale nei confronti di Morsi e della sua incapacità di realizzare le promesse fatte durante la campagna presidenziale. Il giro di vite nei confronti della libertà di stampa è stato il primo segnale delle difficoltà della Fratellanza musulmana a governare in un ambiente realmente democratico e ad affrontare pubblicamente qualsiasi critica. Ma con il decreto della scorsa settimana Morsi ha colpito la separazione dei poteri, che è il cardine di ogni democrazia, e ha instaurato una dittatura”.
“Finora i Fratelli musulmani e i loro sostenitori hanno mantenuto un atteggiamento di chiusura totale, ripetendo le dichiarazioni vuote del vecchio regime nei giorni che precedettero la caduta di Mubarak: i contestatori sono ‘agenti prezzolati’, ‘teppisti’ che ‘diffondono il caos’. Questo è totalmente assurdo: a scendere in piazza è stata e continua ad essere soprattutto gente normale, indipendente, scontenta di Morsi e disgustata dal suo decreto. Oltre a un gran numero di donne che si oppongono al tentativo del presidente di ridurre il loro piccolo spazio di libertà conquistato con la Rivoluzione. E c’è anche buona parte delle forze politiche egiziane: leader dell’opposizione come El Baradei, Sabahi, Foutouh erano alla testa dei diversi cortei che marciavano verso Medan El Tahrir”, la Piazza Tahrir teatro e simbolo della rivolta contro Mubarak.
Ora Morsi spera di superare la crisi, piegare l’opposizione e mettere fine alle proteste di piazza usando il referendum sulla nuova Costituzione come una clava. Se la maggioranza degli elettori approverà la Carta fondamentale (che fra l’altro conferma la Sharia, la Legge islamica, come fondamento principale del diritto egiziano), il presidente sfrutterà il risultato per rinsaldare una legittimazione politica ormai traballante. Nel frattempo, chiama a raccolta i suoi sostenitori.
“Morsi aspetterà di vedere se i cortei organizzati dalla Fratellanza musulmana e dai Salafiti riusciranno a mobilitare una buona parte dell’opinione pubblica a suo favore”, dice Randa Achmawi. “Se si accorge di avere un certo supporto nelle piazze l’Egitto potrebbe entrare in un sentiero pericoloso di polarizzazione e di tensioni elevatissime tra i sostenitori di Morsi e i suoi oppositori. Ma se aggiungiamo il 49% degli elettori che ha votato contro di lui, sostenendo il candidato di Mubarak alle presidenziali, assieme a chi non è andato a votare al ballottaggio perché rifiutava la scelta obbligata tra Morsi e Shafik, il numero di egiziani che si oppone al presidente sembra superare il numero di chi lo sostiene. Perciò se Morsi deciderà di governare con il pugno di ferro, certamente dovrà affrontare la collera della piazza. E questo non aiuterà a portare la stabilità in Egitto, né a far progredire il Paese. Possiamo solo sperare, dunque, che scenda a compromessi”.
La terza “anima” dell’Egitto, i militari, per decenni forza e puntello del regime, restano intanto a guardare. Forse attendono l’esito del confronto per scegliere da che parte stare. O forse hanno già scelto l’intesa con gli islamici, in cambio della salvaguardia del proprio potere.