Giornata Mondiale contro l'Aids


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Aids, come fermarlo?

Parla Stella Egidi, infettivologa Medici senza Frontiere s

di Bianca Biancastri
(b.biancastri@rai.it)

“Direi che siamo sicuramente in un momento cruciale dell’epidemia dell’hiv, in cui forse per la prima volta la scienza sta veramente dimostrando che gli strumenti per ribaltare l’andamento dell’epidemia ci sono e sono efficaci. Se c’è un momento in cui si dovrebbe insistere e non abbassare la guardia è proprio questo. Quindi io sono veramente ottimista rispetto alla possibilità, se ci sarà la volontà anche e soprattutto politica, di poter raggiungere gli obiettivi previsti. I recentissimi ultimi dati dell’Unaids,’Agenzia delle Nazioni Unite per l’ Aids, dimostrano proprio come ci sia un calo evidente delle nuove infezioni negli ultimi anni. Rispetto agli ultimi 5 anni, le infezioni si sono ridotte di circa il 24%, quindi oggi siamo a 1,7 milioni di nuove infezioni mentre appunto pochi anni fa si parlava di numeri molto più elevati .Per quanto riguarda invece l’accesso alle terapie antiretrovirali, nonostante gli enormi passi avanti (oggi abbiamo 8 miloni di persone al mondo in terapia) c’è ancora una risposta soltanto parziale ai bisogni. Quindi 15 milioni da curare entro il 2015, come previsto dagli Obiettivi, significa che ce ne sono quasi altri 8 milioni in attesa di terapia. Questa lacuna è ancora più grave se si guarda alle donne, e soprattutto alle donne in gravidanza e ai bambini. Per i bambini si calcola che solo il 28% di loro hanno effettivo accesso alle cure. Molti paesi hanno fatto grossi passi avanti per quanto riguarda la trasmissione materno-fetale e le donne in gravidanza ricevono i farmaci per evitare le infezioni al neonato nel 50% circa dei casi. La percentuale scende al 30%, purtroppo, per la possibilità di ricevere una terapia per se stesse e che quindi, non solo impedisca la trasmissione, ma garantisca la salute delle donne”.

Questa l’opinione di Stella Egidi, infettivologia di Medici senza Frontiere.

Una delle aree che preoccupa di più è l’Africa sub-sahariana, come aumentare in questa area l’accesso alle cure?
“Sebbene l’area sub sahariana dell’Africa è quella che ha fatto i maggiori progressi perché è anche quella che ha ricevuto nel decennio passato i maggiori investimenti e i maggiori sforzi anche in termini di prevenzione e di lotta alla discriminazione, rimane il fatto che è l’area con i maggiori bisogni. Il 70% delle persone che hanno l’hiv al mondo vive in Africa. Questa è l’ area del mondo dove ci sono enormi bisogni e per la quale servirebbero delle risposte adeguate che sostanzialmente possiamo tradurre in riduzione dei prezzi dei farmaci, elemento che rimane sicuramente la barriera più importante per l’accesso alle cure. Se i vecchi farmaci, quelli sviluppati dieci anni fa, sono oggi disponibili anche in questi paesi a prezzi relativamente accessibili, i nuovi farmaci, invece, quelli di ultima generazione , maggiormente efficaci, con meno effetti collaterali e di più facile assunzione, sono protetti da brevetti nella maggior parte dei casi. Questi nuovi farmaci, quindi, sono disponibili soltanto nella versione firmata dalla società farmaceutica che per prima li ha prodotti e quindi sono disponbili a prezzi elevatissimi. Questo è sicuramente il primo grosso ostacolo per curare i sieropositivi”.

E’ vero che ci sono nuovi accordi internazionali che difendono i monopoli delle multinazionali dei farmaci e che porranno un limite alla produzione dei “generici” a basso costo, come accade in India?
“E’ vero che ci sono dei trattati commerciali tra paesi occidentali e paesi a medio sviluppo, tra cui l’India, che non sono stati siglati ma che sono in via di negoziazione e che rischiano ovviamente di limitare enormemente l’accesso ai generici perché tutelano le case farmaceutiche che per la gran parte dei casi sono europee o americane. Diciamo che lo Stato con questi accordi tutela le proprie aziende, che dal punto di vista economico è comprensibile. Ma non è comprensibile per noi che riteniamo che il diritto alla salute, il diritto ad avere accesso ai farmaci salvavita, senza i quali si muore, non possa essere limitato o condizionato da leggi commerciali. L’altro grosso ostacolo che merita di essere menzionato è quello degli aiuti finanziari. C’è stato nell’ultimo decennio un investimento da parte dei paesi ricchi che hanno finanziato tramite il Global Found e anche tramite altri programmi di aiuto la possibilità di accesso alle cure per 8 milioni di persone. Ora, soprattutto a causa della crisi economica e di altre motivazioni che hanno messo un po’ in crisi il sistema stesso di funzionamento dei fondi, il contributo finanziario dei paesi ricchi “sta venendo meno”, si è stretta la cinghia in maniera molto importante e questo fa sì che i paesi poveri e in via di sviluppo si trovino obbligati a ridurre i propri programmi e a limitare enormemente le categorie alle quali può essere garantita una terapia antiretrovirale”.

Qual è la situazione in Asia e nell’Europa dell’Est dove si registrano migliaia di nuove infezioni facilmente evitabili con misure di profilassi?
“Ci sono dati degli ultimi anni che rendono sempre più evidente come nei Paesi tradizionalmente afflitti dall’epidemia si comincia a vedere che le cose vanno meglio e là dove, invece, il virus sembrava aver colpito in maniera molto limitata c’è un trend completamente opposto. Si tratta, va detto, di numeri assoluti molto piccoli se li si compara con i paesi africani che hanno milioni di persone sieropositive. Sono comunque numeri importanti se si guarda all’andamento delle nuove infezioni che salgono esponenzialmente. Questo fenomeno riguarda tutta l’area del Nord Africa, sicuramente il Medioriente , l’Asia centrale e l’Europa dell’Est, che tra l’altro è gravata anche da un’epidemia tubercolare molto importante. Le due cose vanno a braccetto, dove c’è l’hiv si instaura facilmente la tubercolosi e, viceversa, la tubercolosi rimane una delle principali cause di morte delle persone sieropositive al mondo. Questo è avvenuto perché c’è stata una assoluta mancanza di investimenti e di prevenzione. I paesi africani musulmani sulla prevenzione sono molto indietro. Ci sono ancora moltissimi paesi al mondo dove l’hiv è criminalizzato, dove per legge si è passibili di un reato quando si è hiv- positivi . Tutto questo non aiuta la salute, perché è ovvio che se la malattia è stigmatizzata io che sono sieropositivo non mi vado a testare, non mi faccio curare. Gli strumenti per mettere un freno all’epidemia ci sarebbero anche in questi paesi, ma ci vuole la volontà politica, il sostegno finanziario e il coinvolgimento dei governanti”.