di Mariaceleste de Martino
(mceleste.demartino@rai.it)
Impiattare morte, ingoiare sofferenza e chiamarla prelibatezza. “Foie gras”, tra i cibi più consumati soprattutto a Natale, in forma anche di paté o mousse, è il risultato di un ingozzamento forzato di oche o anatre. C’è un legge europea che ne vieta la produzione nei Paesi che hanno ratificato il Congresso europeo per la protezione degli animali negli allevamenti, eccetto “dove essa è pratica comune”, ovvero in cinque nazioni: Belgio, Bulgaria, Spagna, Francia e Ungheria. Ma le organizzazioni animaliste sono sul piede di guerra: chiedono di abolire il foie gras completamente, e lamentano anche pochi controlli dove la produzione è già vietata.
Più il fegato è grosso e più diventa ricco di grassi, e quindi saporito, almeno secondo i palati che amano questi gusti. “Due o tre volte al giorno, tramite un tubo inserito direttamente nel gozzo di questi animali, vengono sparate grandi quantità di cibo per un periodo di due o tre settimane prima che gli animali vengano macellati”, spiega Annamaria Pisapia, direttrice Italia di Compassion in World Farming, riconosciuta come la maggiore Ong internazionale a favore del benessere degli animali da allevamento e contro gli allevamenti industriali.
“Già nel 2002 la Fao, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, aveva dichiarato che la produzione di foie gras ‘pone dei gravi problemi di benessere animale e non è pratica consentita alla Fao’”, aggiunge Pisapia.
La legge europea è contraddittoria perché da un lato porta avanti il concetto di animali come esseri senzienti, ma dall’altro tollera come ‘deroghe’ pratiche come quelle del foie gras. Cos'è che va fatto per fermare questa “tortura”?
“La produzione di foie gras è illegale in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia (dal marzo 2007 NdR), ma non la sua vendita. Ci vuole una legge europea che bandisca completamente dal continente questo modo di produzione barbaro e la nostra organizzazione, anche recentemente, ha ribadito questa richiesta alla Commissione Ue”.
Cos’è il benessere animale?
“Secondo la scienza, un animale vive nel benessere se si trova in condizioni in cui sono rispettate le cosiddette cinque libertà: 1) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione 2) libertà di avere un ambiente fisico adeguato 3) libertà dal dolore, dalle ferite, dalle malattie 4) libertà dalla paura e dal disagio 5) libertà di manifestare le proprie caratteristiche comportamentali specie-specifiche.
Negli allevamenti standard, da cui proviene la maggior parte dei nostri cibi, si trovano animali allevati in gabbia o a densità elevatissime, senza alcun tipo di arricchimento ambientale, senza luce naturale, spesso mutilati per pratiche di produzione”.
Non vogliamo farne una questione “vegetariana” o “animalista”, che sono scelte personali, ma “umana”. Cosa si può fare per evitare di portare in tavola carni e derivati di un animale straziato per le atrocità subite prima di morire per poi diventare cibo?
“Manca un’etichettatura europea sul metodo di produzione, se si eccettua per le uova. È difficile riconoscere i prodotti standard dai prodotti cosiddetti animal friendly, cioè rispettosi del benessere animale, che comunque sono ancora la minoranza”.
Tra le aziende in Italia che sposano la stessa politica, la Coop ha recentemente tolto il foie gras dagli scaffali. La catena di supermercati, tra i primi a vendere uova e polli “sani”, ha vinto premi europei assieme a Barilla e Amadori. All’estero hanno ricevuto encomi Pret a manger, il famoso cuoco inglese Jamie Oliver, Burger King UK, Macdonald Hotels&Resorts e il supermercato Sainsbury’s.
“Chiediamo un’etichettatura obbligatoria sul metodo di produzione per tutti gli alimenti di origine animale”, conclude Annamaria Pisapia. “Le immagini sulle confezioni a volte sono ingannevoli. Cercate la dicitura ‘allevamento all’aperto’ per la carne o ‘allevato all’aperto/a terra’ per le uova, che indicano animali che hanno vissuto meglio”.
Compassion in World Farming ha sede centrale in Gran Bretagna, Paese in cui fu fondata oltre 40 anni fa, e ha sedi secondarie in Italia, Francia, Olanda e Stati Uniti. Ha dei rappresentanti in Cina e Sudafrica. Tra i pochi Paesi dove il foie gras non trova spazio sulle tavole, l’Argentina che lo considera un maltrattamento e una tortura.