di Giovanni Casa
Si è conclusa a Roma, presso la Sala Trevi, la rassegna “Dalla Sicilia con passione. Il cinema di Giuseppe Tornatore- Un ragazzo di Sicilia che amava la fotografia e il cinema…”, una retrospettiva completa dedicata al regista premio Oscar. Nella giornata di chiusura, Tornatore ha incontrato il pubblico. Ecco una sintesi del colloquio.
Quali sono i film italiani che ama maggiormente?
“Questa è una delle domande più difficili che di solito mi rivolgono. Ho visto così tanti film che mi pare problematico indicare due o tre titoli. Da giovane ho frequentato molto le sale di provincia, dove la programmazione era eclettica. Questo mi ha insegnato a rispettare i film, perché tutti i film hanno diritto di esistere. Il primo film di Fellini che vidi fu 8 ½ ed ero piccolo. Ricordo che lo trovai molto difficile e lo ho poi rivisto parecchie volte. Salvatore Giuliano lo vidi invece per la prima volta in tv, quando c’era un solo canale, in bianco e nero. Penso poi a uno dei primi di Visconti, Lo straniero, che non ebbe successo”.
Qualcuno ha parlato per lei di un’influenza particolare da Visconti e Leone. Cosa hanno rappresentato? “In realtà questa filiazione è una categoria molto discutibile. Sono comunque due tra i tanti importantissimi, perché da loro ho appreso ad amare il cinema. In particolare, Leone mi ha insegnato che la cognizione del tempo nel cinema non era quella della realtà. Aveva la capacità di dilatare l’azione in un tempo infinito. Per Visconti non era così. Hanno due stili narrativi diversi, ma continuano a darmi moltissimo quando li rivedo”.
Lei ha diretto molti grandi attori. Questo ha mai creato difficoltà particolari?
“E’ esattamente il contrario di quello che in genere si pensa. Più è grande un attore, più è facile dirigerlo. Quando poi ho diretto, in Una pura formalità, un regista come Roman Polanski, non ha voluto mettere becco nella mia direzione, è stato sempre rispettoso, anche se era capace di telefonare nel cuore della notte per chiedermi dettagli sulle caratteristiche del suo personaggio..”.
Ha dei suggerimenti da dare ai giovani? E’ opportuno o no seguire le scuole?
“Le scuole sono determinanti, anche se in Italia siamo in grande ritardo nella didattica. Non bisogna fidarsi del fatto che molti grandi registi non hanno seguito corsi regolari. Se fossi un giovane, cercherei di seguire una scuola, poi vedere molti film e assistere alle riprese. Io sono un autodidatta, ho cominciato a 12 anni e se non ho potuto frequentare una scuola, mi procuravo i libri e li studiavo. Poi ho fatto il proiezionista e in seguito il produttore esecutivo, con Cento giorni a Palemo. Da lì sono passato alla regia. Anche se oggi la tecnologia aiuta, non bisogna pensare che, girati un paio di corti, si sia pronti per un lungometraggio. La scuola adesso è fondamentale, più di una volta”.
Qual è la sua opinione sul digitale?
“Non ho paura di quello che sta creando. E’ bene che arrivi questa rivoluzione e che porti migliore qualità. Mi ero stancato di vedere proiezioni pessime. Cambierà del tutto il panorama del cinema, penso in meglio. Il mio ultimo film, La migliore offerta, in uscita a gennaio, l’ho girato tutto in digitale e sono assai soddisfatto. Discorso del tutto diverso è quello che accadrà nelle sale, quando dal gennaio 2014 sarà possibile solo la proiezione in digitale. E’ un guaio quando si costringono le strutture a chiudere. Il danno è incalcolabile, perché si impedisce la convivenza di metodi diversi, che è il bello del cinema. Quando la pellicola sarà scomparsa, si aprirà un capitolo terribile”.