di Paola Scaramozzino
(p.scaramozzino@rai.it)
Non aveva mai ceduto alle numerose richieste degli editori di scrivere la sua biografia perché era lontana da lei, l’idea di autocelebrarsi. Miriam Mafai , grande firma del giornalismo, scrittrice, militante politica, non se la tirava, per usare un linguaggio di oggi. Una donna dall’insaziabile curiosità verso gli altri per cercare di capire, di raggiungere quella verità che poteva essere anche scomoda, ma che ha sempre guardato “ad occhi aperti”. Scomparsa il giorno di Pasquetta di quest’anno, come ha scritto Ezio Mauro, direttore del suo giornale “La Repubblica”, Miriam era fatta di “ Fil di ferro e una grazia tutta sua, particolare. Una sorta di nobiltà dell´esperienza, dove si uniscono le tracce dell´impegno politico e i segni forti della passione giornalistica, del "mestiere" ‘. Da qualche anno aveva deciso di scrivere la sua storia che è anche la storia degli ultimi 80 anni del nostro Paese. Purtroppo non è riuscita a finire i suoi scritti che si fermano al 1956, periodo in cui intraprese il mestiere di giornalista lasciando il suo ruolo di funzionario nel partito Comunista. Sua figlia, Sara Scalia, anche lei giornalista, ha curato la pubblicazione di questo libro.
“Miriam Mafai: Una vita, quasi due” (Rizzoli editore) –ci spiega – racconta la vita di mia madre ma anche la storia degli avvenimenti che hanno attraversato la sua esistenza”.
Padre pittore, Mario, e pittrice e scultrice la madre, Antonietta Rafhael, ebrea, la famiglia Mafai è anticonformista e dotata di un fervido disordine. Se tutte le altre bambine hanno i capelli lunghi, le sorelle Mafai, sono tre, li portano corti e indossano improbabili stivali di gomma e cappotti a quadri. Non vanno a messa, non hanno legami con altri ebrei, celebrano lo Shabbat con un rituale assolutamente inventato. Durante il II conflitto mondiale, non cantano le canzoni del regime, soffrono per le persecuzioni razziali, subiscono i bombardamenti , si schierano con la Resistenza, partecipano alla nascita del comunismo.
La vita di sua madre è l’insieme di tante vite. Diciamo che la prima è caratterizzata dalla sua lunga militanza nel PCI, dieci anni. Poi la delusione nel 1956…
Mia madre aveva percepito nei suoi numerosi viaggi a Mosca che c’era qualcosa che non andava ma non aveva ancora capito. Forse era solo una sensazione ma nel 1956, il rapporto segreto di Krusciov sulla scoperta degli orrori dello Stalinismo la portarono lontano dal partito. Ritornò a Parigi dove era già stata con i suoi genitori e da lì, chiamata da Maria Antonietta Macciocchi, iniziò il mestiere di giornalista.
Una mente libera, laica, critica anche con la stessa sinistra alla quale non faceva sconti. Miriam severa e intransigente, era una rivoluzionaria sui generis che credeva nel vero riformismo. Fondamentale per la sua formazione, l’esperienza ad Avezzano in cui conosce il marito Umberto, sindacalista del PCI, dal quale si separerà anni dopo, e dove si trova a intraprendere la battaglia per la conquista delle terre dei Torlonia, accanto ai contadini e alle donne del Fucino. Poi l’incarico al Consiglio Comunale di Pescara dove passa dall’altra parte della barricata, chiamata a dare delle risposte concrete.
“Le donne lavavano i panni a mano, lavoravano nei campi. I contadini lottavano per avere le terre. –ricorda Sara Scalia - Freddo, sofferenze enormi. Non c’era da mangiare, i bambini non conoscevano la carne, non andavano a scuola, non avevano le scarpe. E se poi quelle battaglie le hanno vinte, diceva mia madre, anche se poi votavano per la DC, “un pezzo di rivoluzione” era stata fatta”.
Miriam si batterà sempre per coloro i quali hanno meno diritti e sono i più indifesi. E le donne lo sono state. Per questo sarà anche una paladina dell’emancipazione femminile. ” Non ci ha regalato mai niente nessuno” diceva e anche nello stesso partito ricordava che “le compagne potevano sì parlare, ma non le ascoltava nessuno”.
“Miriam Mafai è stata un po’ un’apripista per le donne nel giornalismo, ai suoi tempi non erano molte le voci femminili in questo mestiere. Ricordo Oriana Fallaci, Lietta Tornabuoni , Rossana Rossanda, Luciana Castellina. Il sorriso di Miriam e la sua risata inconfondibile che bucava le pareti erano usate a volte come un’arma contundente” ha detto Lucia Annunziata, giornalista e scrittrice, alla presentazione del libro.
Ma come era Miriam Mafai come mamma?
Lei diceva sempre che era “una pessima madre ma un’ ottima nonna e una straordinaria bisnonna” –risponde Sara Scalia – Pessima madre mi pare troppo. Noi figli, io e Luciano, abbiamo sempre sostenuto che era “una madre distratta” . Del resto la sua passione e il suo impegno civile venivano prima di tutto. Famosa la frase che fra un week end di passione con il suo compagno di 30 anni di vita, Giancarlo Pajetta, il partigiano Nullo, e un servizio giornalistico, vinceva sempre il secondo.
La Mafai è stata anche parlamentare per due anni ma ha poi lasciato l’incarico perché si sentiva “in gabbia”, incapace di incidere sulla realtà dei fatti.
Mia madre è stata anche nel Consiglio regionale del Lazio –ricorda Scalia - e ha rinunciato al vitalizio trovando assurdo che le toccassero dei soldi solo per aver lavorato per un periodo. Non si è mai concessa lussi, non ha acquistato case in campagna, al mare. Il suo appartamento di Roma, quello con l’affaccio sul parco descritto nel libro, è una casa spartana di tre camere che suscitò lo stupore delle numerose personalità che vi passarono quando scomparve Pajetta, il compagno di mia madre. Dissero che era anche una brutta casa e mia madre ci rimase male perché per lei era una reggia. Si aspettavano, gli altri, di trovare chissà quale appartamento grandioso e di lusso, invece….
Un esempio proprio per questi nostri tempi in cui il rigore morale non si sa cosa sia...
Quando mia madre è morta –ci racconta Scalia – è stata allestita la camera ardente in Campidoglio. Sono passate personalità del mondo della politica e della cultura , amici, conoscenti, persone comuni. Quando c’è stata l’apertura al pubblico, un signore di una certa età, con una rosa in mano è apparso titubante e in imbarazzo. Mi sono avvicinata e dandomi il fiore mi ha detto: ”Conoscevo sua madre, prendevamo lo stesso autobus. Mi sono sempre meravigliato come una donna come lei, una persona conosciuta, del suo livello, prendesse l’ autobus come lo prendevo io”. Ma mia madre era così.
Ci sarà un seguito a questa biografia non completata? Manca tutta la parte che riguarda la sua seconda vita da giornalista a “L’Unità”, “Noi donne” e poi a “La Repubblica”?
Per adesso io e mio fratello stiamo lavorando alla creazione di un un’associazione a suo nome per divulgare i suoi pensieri, gli scritti meno noti e per istituire e promuovere il lavoro dei giovani. Poi con il tempo, si vedrà.