di Rita Piccolini
(r.piccolini@rai.it)In realtà non si tratta di una novità in assoluto perché venne pubblicato per la prima volta nel 1991, un anno prima delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Ora, completamente rivisto e aggiornato alla luce anche delle ultime rivelazioni sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, viene riproposto dall’autore e colpisce per la sua assoluta attualità. La tesi è che l’aspetto più preoccupante e pericoloso delle mafie che agiscono nel nostro Paese sta nel trasferimento, avvenuto negli ultimi quarant’anni, dei metodi propri dell’organizzazione mafiosa alle amministrazioni pubbliche e private esistenti in Italia. La cronaca di questi giorni, con le notizie di infiltrazioni mafiose in molte regioni, anche del Nord Italia, e addirittura l’arresto di un assessore lombardo accusato di essere stato eletto grazie a un pacchetto di voti comprati dalla ‘ndrangheta, mettono in evidenza quanto il problema non sia solo storico e legato al modo particolare in cui le regioni del Sud vissero e patirono l’unificazione con lo Stato sabaudo, ormai oltre 150 anni fa, ma una condizione di stringente e sconvolgente attualità.
Sono di tre giorni fa le dichiarazioni inequivocabili del ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, rilasciate in un’intervista al quotidiano cattolico“Avvenire”:”Le infiltrazioni delle mafie in Lombardia, così come in Emilia Romagna, Piemonte e Liguria, non sono purtroppo più un dubbio, ma una minaccia concreta che stiamo contrastando con forza”. Anche se la situazione alla regione Lombardia non può essere assimilata a quella dei 237 comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, in quanto la vicenda sembra riguardare un singolo assessore, il ministro si dice convinta che “lo Stato non possa stare a guardare quando una situazione è molto grave” e promette che il governo metterà mano ai provvedimenti su voto scambio e incandidabilità. Poi il ministro racconta di aver rimproverato gli studenti che, nella sua recente visita a Palermo, ostentavano sfiducia nelle istituzioni. Dice il ministro:”L’antipolitica non è un sentimento sano. E’ vitale per il futuro del Paese riconquistare la fiducia nelle istituzioni e nella politica. Ma per farlo bisogna risanarle”. Quasi una “mission impossible” verrebbe da commentare, e comunque il primo passo da fare soprattutto per le nuove generazioni è comprendere il fenomeno analizzandolo e studiandone le dinamiche. “La coabitazione tra mafia e Stato è una storia che ha segnato la nostra Italia e ancora continua a segnarla in maniera indelebile- scrive Tranfaglia nella prefazione- la speranza nel futuro può essere riposta solo in un radicale cambiamento nei metodi di selezione delle forze politiche, nel miglioramento dei gruppi dirigenti e nell’ansia di ricostruzione democratica di cui tanti italiani a questo punto sentono, sia pur confusamente il bisogno”.
Tranfaglia cita le parole di Giovanni Falcone: “Lo stato mafia è molto più efficiente del nostro Stato. Per combatterla bisogna conoscerla a fondo, capirne il metodo. Le logiche mafiose non sono mai sorpassate, né incomprensibili. Sono le logiche del potere, sempre funzionali a uno scopo. Per vincere la mafia bisogna contrapporre al metodo mafioso un altrettanto valido metodo: lo studio dei fatti, le rivelazioni dei pentiti e il lavoro di gruppo”.
Tra i tanti interrogativi che il libro pone nel delineare, con ricostruzioni puntigliose e precise della storia italiana, il dilagare del fenomeno mafioso su tutto il territorio nazionale, ce n’è uno che colpisce ed è semplice, quasi banale: perché nel Regno Unito ci sono organizzazioni criminali potenti, ma il fenomeno mafioso come lo conosciamo noi non esiste? La risposta la fornisce l’autore stesso quando afferma: “Mafia, camorra, n’drangheta e organizzazioni ibride come la Sacra Corona unita hanno in Italia un lungo retroterra storico e rispondono alle caratteristiche di una società civile che non è mai stata effettivamente colonizzata e fortemente integrata nello Stato moderno e che ha dunque, nella generalità dei suoi abitanti, un atteggiamento di distacco e di diffidenza rispetto alle leggi e alle regole che esse delineano”. La capacità di queste organizzazioni di espandersi in tutta Italia e all’estero serve a far capire l’urgenza di affrontarle cambiando un atteggiamento culturale diffuso. Potremo vincere la battaglia, puntualizza l’autore, senza “attardarsi a scavare nuovi fossati tra il Nord e il Sud della Penisola”, ma combattendo insieme contro un pericolo che oggi è sempre più nazionale e internazionale.
Nicola Tranfaglia è nato a Napoli nel 1938. E’ stato ordinario di Storia Contemporanea e preside della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, dove tuttora insegna. E’stato editorialista del giornale “la Repubblica” e collaboratore dell’Espresso e dell’Unità e scrive oggi su “Articolo 21”. Nella sua carriera di storico ha svolto intensa attività di organizzazione scientifica, culturale, editoriale e politica. E’ condirettore della rivista “Studi Storici” e membro del comitato scientifico della Fondazione Antonio Gramsci. E’ stato deputato per più legislature. Tra i suoi libri più recenti:Il fascismo e le guerre mondiali (1914-1945): La “santissima trinità”. Mafia, Vaticano e servizi segreti all’assalto dell’Italia 1943-1947; L’Italia alla svolta del 2011; La colpa. Come e perché siamo arrivati alla notte della Repubblica; Più di cento anni ma la mafia c’è sempre. Crisi della Repubblica e ascesa delle mafie (1861.2011); Carlo Rosselli e il sogno di una democrazia sociale moderna; Anatomia dell’Italia repubblicana. 1943 -2009.