di Federica Marino
(marino@rai.it)
Una mostra integrata, quella che il MAXXI Architettura dedica a Le Corbusier: lungo il filo tematico del rapporto che lega l’architetto svizzero-francese all’Italia, l’esposizione ospitata fino a febbraio nell’edificio creato da Zaha Hadid è infatti una macchina di rimandi e citazioni multidirezionali.
L’integrazione nasce dal luogo e dal dialogo che la struttura stessa del MAXXI intrattiene con la figura di Le Corbusier, tra i padri dell’architettura del ventesimo secolo: il progetto di Zaha Hadid contiene e continua le linee teorizzate e applicate da Le Corbusier e gli rende così omaggio tangibile. La stessa concezione della funzione del MAXXI come museo del presente è perfettamente coerente con quanto teorizzato da Le Corbusier, nella valorizzazione di quella che è considerata l’arte moderna per antonomasia; l’architettura radica infatti la produzione estetica nel mondo reale, per una creazione che è anche fruizione, occupazione, abitazione dello spazio, in modo non diverso da quello delle cattedrali gotiche (e non è un caso che Le Corbusier abbia disegnato e realizzato diverse chiese).
Il percorso tracciato dalla mostra segue i viaggi giovanili di Le Corbusier in Italia per apprendere la lezione dei maestri rinascimentali, poi la sua ricerca di committenze pubbliche e private, infine i progetti affidatigli e purtroppo non realizzati negli anni Sessanta. Disegni, schizzi, acquerelli, dipinti e fotografie documentano la continuità del rapporto con il nostro Paese e coprono l’arco temporale dal 1907 – primo viaggio in Italia – al 1965, l’anno della morte, che lascia incompiuti due progetti a Rho e a Venezia.
“Uomo di lettere”, così Le Corbusier si qualifica nella carta d’identità da francese, nel 1930: uomo rinascimentale, verrebbe da dire, e già in questo, forse, influenzato dai viaggi fatti poco più che ventenne, quando nelle città d’arte italiane aveva incontrato i grandi umanisti.La stessa attenzione a 360° si riscontra nei rapporti con i contemporanei italiani: architetti, pittori, designers e scultori, ma anche istituzioni e imprenditori. In mostra, grazie alla Fondation Le Corbusier che è partner dell’iniziativa oltre che principale prestatore, ci sono foto, disegni architettonici e schizzi di monumenti dei primi viaggi italiani e anche i carteggi con i colleghi razionalisti degli anni Trenta. Non manca la testimonianza del lato pratico della professione di architetto. Un libro autografato e inviato a Mussolini è coevo dei tentativi di aggiudicarsi il progetto di Pontinia, città ideale fascista e possibile concretizzazione della sua Ville Radieuse, teorizzata nel 1931 e poi diventata reale venti anni dopo a Chandighar, la capitale del Punjab in India. Contatti anche con potenziali committenti privati, come Olivetti e Agnelli, destinati a tornare attuali successivamente.
Le frequentazioni italiane di Le Corbusier, ormai affermato a livello internazionale, continuano e si intensificano dopo la guerra: le relazioni con gli intellettuali della Penisola si traducono nella prima grande mostra italiana del 1963 e, a livello pratico, in due importanti lavori. Il Centro di Calcolo Olivetti a Rho e l’ospedale di Venezia resteranno però sulla carta, per l’inattesa morte di Le Corbusier. Rimangono schizzi, disegni, modelli originali e alcuni filmati dell’epoca: Le Corbusier si racconta e racconta la profonda ammirazione provata per Venezia dalla prima volta in cui la visitò, nel 1907: sono passati più di cinquant’anni e ancora quelle emozioni sono vive.
A documentare, infine, la globalità di Le Corbusier artista, la mostra presenta la sua opera di pittore purista negli anni 1920-1925 e il confronto con Carrà, Morandi, Severini e, a partire dagli anni Quaranta, le esperienze di scultura.
L’Italia di Le Corbusier 1907-1965
Roma, MAXXI
Dal 18 ottobre al 17 febbraio 2013