Professore, può illustrare la vostra scoperta sulle nuove cure per il tumore nei bambini? Le cellule staminali e i globuli bianchi se ben direzionati possono diventare le antagoniste delle cellule tumorali e quindi dare una speranza di cura?
Vede, tra i tanti “vantaggi” che la cellula tumorale ha nei confronti delle cellule sane c’è quello di potere sfuggire a quelli che sono i meccanismi naturali immunologici di difesa. Il fenomeno è noto in inglese come “escape” tumorale, ovvero l’occultamento che il tumore può attuare nei confronti di tali meccanismi. Il nostro organismo è armato per difenderci dai tumori e nella maggiore parte dei casi questa difesa risulta efficace. In altri casi, a parte alcuni aspetti genetici ed ambientali nei quali non ci possiamo addentrare in questa sede, il tumore vince la partita grazie a meccanismi di occultamento. Quello che noi stiamo tentando di fare con la nostra ricerca è di superare questa limitazione facendo in modo che alcuni obiettivi o target della cellula tumorale (recettori e/o antigeni, proteine di superficie) vengano identificati in modo specifico dalle cellule che operano la soppressione della cellula tumorale, ovvero i linfociti Cd8 positivi opportunamente “ingegnerizzati”. Abbiamo “armato” questi linfociti, modificandoli geneticamente, per indurli a produrre delle strutture di membrana, quindi costruite in laboratorio, in grado di attaccare la cellula tumorale su un punto-target specifico e relativo a quel particolare tumore, superando quindi il meccanismo di occultamento tumorale.
Su quale tipo di tumori può essere usata questa terapia?
E’ una modalità innovativa di trattamento che può essere realizzata nei confronti di ogni neoplasia. E’ necessario conoscere i vari antigeni e le strutture di superficie della membrana della cellula tumorale e sviluppare in laboratorio target specifici nei confronti di ogni dato tumore. Ora stiamo sviluppando un progetto di collaborazione con il gruppo di oncologi che si occupano di tumori per l’adulto e abbiamo scelto di utilizzare gli stessi strumenti terapeutici immunologici attraverso “l’ingegnerizzazione” dei linfociti prima detta, utilizzando dei target tumorali che possono coincidere nei bambini e negli adulti. In campo pediatrico siamo concentrati sul neuroblastoma, che presenta un antigene di superficie quasi unico, il GD2, e sui sarcomi, il tutto in strettissima collaborazione con il prof. Massimo Dominici, che è un’autorità internazionale in questo campo, come pure nell’ambito dello sviluppo di attività anti-tumorali e rigenerative da parte delle cellule staminali mesenchimali.
Per questo tipo di ricerca avete ottenuto dei finanziamenti?
Si certamente, le nostre ricerche sono sostenute da finanziamenti pubblici e privati. Questi ultimi provengono dall’associazione genitori, che a Modena è denominata Aseop (Associazione a Sostegno dell’Ematologia e Oncologia Pediatrica). Inoltre, riceviamo un continuo e importante sostegno da parte della Ferrari Spa. Poi ci sono i fondi pubblici, del Ministero dell’Università, purtroppo piuttosto modesti e spesso tardivi, e infine ci avvaliamo dei fondi europei per la ricerca nell’ambito dei Framework Programs.
Anche la regione Emilia Romagna partecipa ai finanziamenti alla ricerca visto che, secondo il Censis, risulta tra le tre regioni italiane con più incidenza di tumori insieme a Friuli e Liguria?
Si, anche la regione Emila Romagna è molto presente e ci ha sostenuto in questi ultimi anni attraverso il finanziamento di assegni di ricerca. Vorrei però precisare che spesso la maggiore incidenza di una data malattia in una certa regione rispetto ad altre è dovuta alla sua migliore organizzazione sanitaria e in questo caso all’esistenza del registro regionale dei tumori. Molte regioni sembrano non avere alta incidenza dei tumori solo perché, in mancanza del registro, si avvalgono di statistiche proiettive e non su dati reali, generando dati non sempre attendibili.
In tempi di spending review e di tagli alla ricerca, ritiene sufficienti i finanziamenti? Da quanti anni lavorate su questo progetto?
Stiamo lavorando in questo campo specifico da 4 anni e stiamo completando la fase della sperimentazione sull’animale da laboratorio con risultati molto importanti, che ci auguriamo consentano a breve di passare all’uomo. Purtroppo, è facile immaginare di questi tempi che i finanziamenti si vadano riducendo sempre più e questa è una difficoltà rilevante, anche di carattere etico, non solo per dare continuità alla ricerca ma, soprattutto, per riuscire a mantenere la decina di giovani e validi ricercatori che si sono formati con noi e che continuano a lavorare per la grande passione e competenza che li sostiene. Il processo di ottenimento di un finanziamento è complesso e lungo. Tra ideazione ed elaborazione del progetto, la sua presentazione e i tempi di risposta e di erogazione del finanziamento possono trascorrere anche 2-3 anni. Qualora i finanziamenti già erogati siano in fase di esaurimento, ecco che ci si trova in gravi difficoltà con buchi di tempo senza risorse per continuare con l’ovvio rallentamento della ricerca. Ma lo scenario è sempre lo stesso da decenni per cui siamo abituati a spese molto oculate e al controllo dei tempi per non rimanere a piedi.
Eppure ci sono molti istituti di ricerca adeguatamente finanziati…
Ovviamente, come in ogni campo, ci sono delle grandi eccezioni ovvero istituzioni o centri di ricerca che ricevono finanziamenti consistenti senza avere dimostrato di conseguire grandi risultati. In questi ultimi anni le cose stanno cambiando un poco e in meglio ma indubbiamente sarebbe utile una revisione globale della qualità della ricerca, darle anche un valore economico, operando una sorta di controllo della produttività dei gruppi di ricerca, come accade nei paesi europei, in Giappone, negli Usa. In Italia, invece, assistiamo al fenomeno di ricercatori eccellenti, che producono risultati molto importanti, pur tra mille difficoltà, e alla fine sono costretti ad andarsene all’estero. Io ho fatto queste esperienze estere al contrario, ovvero ho lavorato in Inghilterra e negli USA da giovane, dove ho rinunciato a contratti allettanti per riportare lo spirito della ricerca nel mio paese: ora sono già anziano per ripercorrere questa strada, che va comunque raccomandata a tutti i nostri giovani che vorrebbero fare ricerca di alto profilo.
Questa vostra sperimentazione potrebbe essere adottata anche per il tumore al polmone?
Se la situazione economica generale non fosse così difficile, se l’Università di Modena e la Sanità Regionale potessero contare su una maggiore capacità di intervento, credo che, sulla base di quanto sviluppato e pubblicato, potremmo creare un Centro Modenese di Terapie Oncologiche Innovative che sviluppi la terapia ideata per i tumori dei bambini e degli adulti. Tutto dipende dalle risorse economiche, oltre che umane, e il campo si potrebbe già allargare perchè oltre alla ingegnerizzazione dei linfociti citotossici, stiamo lavorando ad altri prodotti cellulari ad azione antitumorale.
Si tratta di un nuovo farmaco?
No, è una molecola sviluppata da alcune cellule particolari che stiamo investigando per applicazioni ad ampio spettro in ambito oncologico. Ma siamo in una fase iniziale di prossima divulgazione, sempre sperando di potere sviluppare una joint venture con altri stakeholder anche privati. (fdj)