di Emanuela Gialli
(e.gialli@rai.it)
L’invito rivolto dal Capo dello Stato al Parlamento di considerare anche l’ipotesi di misure di clemenza per risolvere quella che ormai è diventata un’emergenza umanitaria, nelle carceri italiane, sembra che finora non sia stato raccolto dalle forze politiche, con l’eccezione dei radicali, ovviamente. Forse perché sarebbe un errore politico appoggiare un provvedimento di amnistia o indulto in un momento come quello che stiamo tutti noi vivendo?
Io credo che ci sia un discorso “a monte”, da fare. Noi, la scorsa legislatura, abbiamo applicato delle misure di clemenza, rispetto a una situazione di emergenza. Che cosa è accaduto? Che, dopo, la situazione si è ripresentata. Io non sono contrario in via di principio alle misure di clemenza ma penso che, di fronte all’opinione pubblica, oltre che di fronte alla nostra coscienza, una cosa è dire ‘abbiamo cambiato le condizioni strutturali’ e quindi un provvedimento di clemenza può portare a norma una situazione che è oggettivamente esplosiva, altra cosa è invece non assicurare questo e fare intendere che tra tre o quattro anni staremo di nuovo a discutere di una nuova misura di clemenza.
Quali sono dunque le cose da fare “a monte”?
Secondo la mia esperienza (ho visitato moltissime carceri) il primo problema è l’enorme numero dei detenuti in attesa di giudizio. Quando si va negli istituti di pena, si notano due sezioni: quella dei condannati con sentenza passata in giudicato e quella delle persone in attesa di giudizio. Il problema del sovraffollamento riguarda sempre quest’ultima sezione. Quindi, bisogna finirla con l’uso disinvolto della carcerazione preventiva, anche perché in Parlamento sono in discussione proposte di modifica normativa presentate da tutte le parti politiche.
Ma come garantire la collettività dal rischio di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove e di fuga?
Si possono trovare degli equilibri interni sotto questo aspetto, ma quello dell’uso disinvolto della carcerazione preventiva è un problema che c’è. Secondo aspetto: i detenuti immigrati. Qui il problema è duplice, non solo perché sono tanti, ma soprattutto perché sono veramente un aggravio per chi lavora in carcere, perché sono persone che non hanno alle spalle un retroterra familiare, con difficoltà di mediazione, di lingua, e così via. In questo caso, bisogna riprendere la politica avviata dal governo di centrodestra per raggiungere accordi con il Paese di origine, affinché gli immigrati scontino la pena nel loro Paese. Poi ci sono altri due punti: pene alternative al carcere e l’edilizia carceraria. Se noi riusciamo a fare un percorso che preveda questi quattro punti, la proposta per un possibile ricorso a misure di clemenza verrebbe inserita in un contesto che potrebbe far immaginare una soluzione di fondo del problema.
Ci può aiutare dunque a questo punto a interpretare al meglio le parole di Napolitano sulle misure di clemenza e sulle pene alternative?
Il problema è che l’emergenza nelle carceri è una situazione effettiva. Non è un’invenzione del Capo dello Stato. Per quel che riguarda l’altra riflessione, quella sull’articolo 79 della Costituzione, penso che si dovrebbe ripensare. Qui mi scusi una battuta: l’articolo 79 fu modificato sotto pressione dell’opinione pubblica al tempo di “tangentopoli”. Allora vennero modificati gli articoli 68 e 79 della Costituzione. Lì si scardinò un fondamentale equilibrio costituzionale. Ciò ci dovrebbe ammonire a fare le leggi non sotto la pressione delle urgenze, soprattutto quando sono leggi così importanti.