di Massimiliano Piacentini
(m.piacentini@rai.it)
In questi giorni i media sono tornati a parlare delle 206 carceri italiane. I numeri sembrano un bollettino di guerra ma non sono una novità e dunque, afferma il presidente di Antigone, Gonnella, “la realtà degli istituti penitenziari non si può più definire un'emergenza: il sovraffollamento non è una calamità naturale, ma il prodotto delle politiche penali".
-Negli ultimi 20 anni, il numero di detenuti è raddoppiato. L'indulto del 2006, la legge Alfano del 2010 e la “svuota carceri” del 2011 non hanno sortito gli effetti auspicati. Oggi abbiamo quasi 70.000 presenze a fronte di circa 45.000 posti disponibili. E, secondo il presidente delle Camere penali, Spigarelli, il dato è falsato, poiché la capienza reale è molto più ridotta, considerando che interi reparti carcerari sono inutilizzabili. Ma a cosa si deve l'aumento dei detenuti?
Nel '90 in Italia i detenuti erano 30.000 e gli omicidi 1.200-1.300 l'anno. Oggi i detenuti sono 66.500 e gli omicidi 650-700. Il fatto è che negli ultimi 10-15 anni le leggi sulla recidiva, sulle droghe e sull'immigrazione hanno creato il progressivo affollamento. Abbiamo il 35-36% dei condannati che sono in carcere in violazione della legge sulle droghe, mentre la media europea è circa la metà. Abbiamo quasi il 37% di detenuti immigrati e anche in questo caso la percentuale è superiore a quella di Germania, Francia, Spagna. Poi bisogna considerare la legge sulla recidiva, la ex-Cirielli, che esclude i benefici e aumenta le pene. Ma chi sono i recidivi? Sono i mafiosi, gli assassini? No, sono i tossicodipendenti e gli immigrati, cioè coloro che vivono di piccoli espedienti. Infine, c’è la custodia cautelare: il 42% dei detenuti in Italia sono dentro da presunti innocenti, visto che non hanno subito una condanna definitiva. Numeri simili li troviamo solo in alcuni paesi dell'Est. -La Corte europea ha condannato l'Italia per lo spazio esiguo in cui vivono i detenuti. Il ministro della Giustizia, Severino, ha affermato che un'eventuale amnistia non basta e che bisogna intervenire sulla recidiva. Intanto, la frequenza dei suicidi è 19-20 volte superiore a quella che si registra fuori dalle prigioni, dove si muore anche per altre cause. Cosa propone Antigone?
Anzitutto, la questione non deve essere più trattata pensando al consenso elettorale. Bisogna mettere attorno a un tavolo coloro che si occupano della giustizia e pensare a soluzioni durevoli. L'amnistia o l'indulto servirebbero solo a passare la nottata. Bisogna intervenire sulle misure alternative, su quelle cautelari, sulle leggi che producono carcerazione senza creare sicurezza e sul Codice penale che, va ricordato, è del 1930. Dall'inizio del 2012 si sono suicidate in carcere già più di 40 persone e complessivamente i morti sono più di 100. Negli ultimi anni il numero dei suicidi viaggia intorno ai 55-65 casi l'anno, una percentuale leggermente superiore alla media europea. Ora, se è vero che non è dimostrabile il nesso con il sovraffollamento è però evidente che a causa di esso la disperazione individuale non può emergere: se c'è un operatore ogni 100 detenuti come farà mai a capire che uno di loro ha in testa un proposito suicidario? Poi c'è il problema della sanità. In alcune regioni le Asl non riescono a garantire i servizi minimi essenziali negli istituti e anche questo è causa di morte. Infine, c’è il fenomeno della violenza. Vi sono istituti in cui il buon lavoro degli operatori di polizia, la buona cultura democratica di chi dirige, l’apertura del carcere all'esterno riducono al minimo, o addirittura azzerano il rischio violenza. Ve ne sono altri dove si registrano fatti di violenza residuali e altri ancora dove purtroppo la violenza è sistematica: qui bisogna intervenire con decisione. Ci siamo costituiti parte civile nei procedimenti penali per fatti di violenza sui detenuti due volte. Voglio ricordare il caso di Asti, dove il processo si è concluso senza punizione per gli agenti perché i reati erano caduti in prescrizione. Il giudice, riconosciuto che i fatti contestati agli imputati, compreso uno scalpo, erano realmente accaduti, ha precisato che non poteva punire poiché il nostro codice penale non prevede il reato di tortura.
-Nella calda estate appena trascorsa Antigone ha visitato le carceri dove la situazione è più critica: cosa avete riscontrato?
Grazie all'amministrazione penitenziaria abbiamo potuto visitare le carceri anche con le videocamere. Se dovessi fare una sintesi direi che siamo ancora di fronte al carcere dell'umiliazione e non della responsabilità, dove cioè il detenuto possa stare fuori dalla cella 10-12 ore a svolgere attività per imparare un mestiere o andare a scuola: l'istruzione è il primo passo per azzerare la recidiva. Frequentare corsi di teatro o fare il giornale radio come i detenuti di Rebibbia, a Roma, o di Bollate, a Milano, responsabilizza i detenuti. Purtroppo in gran parte delle carceri sono invece chiusi 20 ore al giorno in sezioni affollatissime. Penso a Latina, con un tasso di affollamento del 265% o a Marassi con un tasso di quasi il 200%. Questo è il carcere dell'umiliazione.
-Parliamo dell'ergastolo. A giugno 2012 i condannati a tale pena erano 1546, venti anni prima erano 408. Anche qui siamo di fronte a un aumento iperbolico. A che punto è il dibattito sulla pena a vita?
L'ergastolo è una pena su cui bisogna aprire prima una discussione culturale e poi politica; esclude il concetto di riabilitazione e quindi bisogna interrogarsi sulla sua compatibilità con l'Art. 27 della Costituzione, che stabilisce il principio secondo cui la pena deve tendere alla riabilitazione. Ma al di là dell'aspetto tecnico-giuridico voglio ricordare Aldo Moro, che durante una lezione spiegava le ragioni giuridiche e umanitarie per bandire l’ergastolo dal sistema penale. Conosciamo le obiezioni che vengono mosse a una simile ipotesi. Al momento da noi non esiste un dibattito parlamentare sul tema, anche se nel '98 un disegno di legge che aboliva l'ergastolo venne approvato in Senato, ma poi non passò alla Camera. -Quale è l'impatto della Spending review sulle carceri?
C’è da tempo a una riduzione costante delle risorse. Ci sono direttori che ci raccontano disperati che non hanno più possibilità di comprare sapone, carta igienica, detersivi. Se non ci fossero le organizzazioni di volontariato, soprattutto quelle cattoliche, la situazione sarebbe ancora più tragica. Se prima dell'estate la Caritas non avesse portato i materassi nel carcere di Regina Coeli, a Roma, i detenuti avrebbero dormito per terra. Questo è l'aspetto diretto della Spending review. Penso sia un errore spendere 450 milioni di euro per costruire 16 nuovi padiglioni e aumentare la capienza carceraria di circa 5.000 posti letto che avremo se tutto va bene alla fine del 2013 o nel 2014. Sarebbe meglio investire quelle risorse nella manutenzione delle carceri esistenti, nell'acquisto di beni di prima necessità e nelle misure alternative.
-Sugli investimenti per le nuove strutture è intervenuta la Corte dei conti, secondo cui considerato l'organico degli agenti di custodia le nuove strutture sarebbero inutili.
I poliziotti penitenziari assunti come tali sono 41.000, ma di questi un 10% non lavora in incarichi legati alla vita detentiva e un'altra parte svolge attività collaterali. Perciò la Corte afferma che un piano edilizio che non si accompagni a un piano di assunzione di nuovo personale è inutile. La vera notizia di questi giorni è che si chiudono gli istituti perché non c'è personale. E’ il caso del carcere di Laureana di Borrello, in Calabria, dove vigeva una custodia attenuata e si sono sperimentate buone iniziative trattamentali. Un istituto dove si sarebbe dovuto investire e che invece è stato chiuso. Nel documento della Corte dei conti c'è un elenco infinito di strutture chiuse, di luoghi costruiti, ultimati e poi chiusi. Evitiamo di fare ciò con i nuovi padiglioni: investiamo nel lavoro penitenziario e nella formazione, non nell'edilizia.