Il dossier di Libera


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Don Ciotti: corruzione, una tassa occulta che inquina e impoverisce il Paese

Dodici cittadini su 100 hanno avuto una richiesta di tangente don_ciotti_296

di Fabrizio de Jorio
(fa.dejorio@rai.it)

Una tassa occulta, che impoverisce e inquina il Paese”. L’ha definita così la corruzione nel dossier delle associazioni Libera, Legambiente e Avviso Pubblico, presentato a Roma nella sede romana della Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti italiani. La corruzione in Italia è un male endemico che pesa per circa 10 miliardi di euro l'anno in termini di Pil e quindi di perdita di ricchezza. ''Il Paese versa in uno stato di 'coma etico''', ha detto Don Ciotti di Libera. Secondo i dati delle associazioni, su 100 cittadini italiani, 12 si sono visti chiedere una tangente.

Il dossier contiene numeri significativi e cifre che parlano da sole: l'onere sul bilancio pubblico italiano è stimato per difetto in 50-60 miliardi di euro l'anno; mentre è di 10 miliardi la perdita di ricchezza causata dalla corruzione, pari a 170 euro di reddito pro capite e al 6% in termini di produttività. Su 100 cittadini italiani, 12 di loro si sono visti chiedere una tangente contro gli 8 della media europea. In termini assoluti, vuol dire che ben 4 o 5 milioni di italiani hanno ricevuto una richiesta di tangente. La stima di 50/60 miliardi l’anno si ricava dai costi economici della corruzione secondo la banca Mondiale che nel 2008 ha valutato come nel mondo ogni anno vengono pagati più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti. Quindi a causa della corruzione circa il 3 per cento del PIL mondiale va in tasca ai corrotti e spesso alle organizzazioni criminali e mafiose internazionali. Applicando questa percentuale all’Italia, nella sola dimensione monetaria si calcola che annualmente l’onere sui bilanci pubblici è nella misura prossima a 50-60 miliardi di euro l’anno. “Una vera e propria tassa immorale e occulta- denuncia Libera- pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini sui quali grava un balzello di circa mille euro l’anno, come costo della corruzione”. Alcuni studi associano con un buon margine di approssimazione l’impatto negativo della corruzione percepita su diverse variabili economiche. Ad esempio, il peggioramento di un punto dell’indice di percezione della corruzione (CPI) in un campione di Paesi determina una riduzione annua del prodotto interno lordo pari allo 0,39 per cento e del reddito pro capite pari allo 0,41 per cento; riduce la produttività del 4 per cento rispetto al prodotto interno lordo

Dossier Libera: “La corruzione è come la mafia, sono ambedue devastanti e oltre al danno per i cittadini è lo Stato a perdere credibilità”

“Ora basta: servono scelte chiare e nette, anzi categoriche - ammonisce don Luigi Ciotti, presidente dell'associazione antimafia Libera- Come nella lotta alla mafia, non sono possibili mediazioni nella lotta contro la corruzione, che tiene in ostaggio la democrazia e si affianca all'emergenza etica. Il nostro Paese – aggiunge il religioso noto per il suo impegno nel sociale - versa in uno stato di coma etico ed è culturalmente depresso; è un Paese in cui si considera normale tutelare i tornaconti personali. La situazione è davvero grave, se oltre a chi fa il male c'è anche chi guarda e lascia fare”. E in quest’ultimo periodo prende piede anche la corruzione ambientale, che “è un veleno che attraversa tutto il Paese”, sottolinea ancora il dossier. E infatti sono ben 15 su 20 le regioni coinvolte nelle inchieste che riguardano la corruzione cosiddetta ambientale che interessa il ciclo dei rifiuti come l'abusivismo edilizio, le lottizzazioni come le bonifiche, i traffici e i riciclaggi.

Il dossier denuncia come nella nostra società i “più allarmanti sono i danni politici, sociali e ambientali: la delegittimazione delle istituzioni e della classe politica, il segnale di degrado del tessuto morale della classe dirigente, l’affermarsi di meccanismi di selezione che premiano corrotti e corruttori nelle carriere economiche, politiche, burocratiche”. C’è poi il dilagare dell’ecomafia- dice Don Ciotti. - attraverso fenomeni come i traffici di rifiuti e il ciclo illegale del cemento, che si alimentano quasi sempre anche grazie alla connivenza della cosiddetta “zona grigia”, fatta di colletti bianchi, tecnici compiacenti, politici corrotti”. Don Ciotti usa parole forti per descrivere il fenomeno: “La corruzione ci ruba il futuro, in tutti i sensi. Una mega tassa occulta che impoverisce il paese sul piano economico, politico, culturale e ambientale. Un male che comporta rischi per la credibilità della nostra economia, per la tenuta della nostra immagine all'estero, per gli investimenti nel nostro Paese. E che crea disuguaglianze, massacra le politiche sociali, avvelena l’ambiente, tiene in ostaggio la democrazia”. Certo, la corruzione costa ma non tutti pagano allo stesso modo, perché, secondo Libera, “a farne le spese sono le fasce deboli, i poveri, gli umili, le cooperative sociali che chiudono, gli enti che sono costretti a tagliare sull'assistenza, sulle mense scolastiche e non ce la fanno ad andare avanti”. Insomma “un cancro che mina quotidianamente il rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni, alimentando un clima diffuso di sospetto”. Oltre ai cittadini è lo Stato, le istituzioni a perdere credibilità e quindi autorevolezza: “Quando il pagamento delle tangenti diventa prassi comune per ottenere licenze e permessi, e la risorsa pubblica è risucchiata nei soliti giri di potere-si legge nel dossier- ciò che viene sacrificato sull'altare dei furbetti di turno è soprattutto la credibilità dello Stato. Con un doppio rischio: da un lato un'illegalità sdoganata in virtù della sua diffusione, in un clima di generale rassegnazione; dall’altro gli appesantimenti burocratici, la ridondanza di controlli, leggi e leggine che diventano una sorta di persecuzione dello Stato sui cittadini onesti, messo in atto nel tentativo di colpire chi viola le regole”.

La carta di Pisa: un codice etico anticorruzione per gli amministratori

Nel 2011 Pisa ha ospitato, presso la Provincia, le riunioni del gruppo di lavoro di Avviso pubblico che ha elaborato un codice etico per gli amministratori locali, la Carta di Pisa, adottato dal Comune come primo ente in Italia. Da Pisa, piccolo laboratorio che incrocia esperienze e competenze diverse, si può allargare lo sguardo ad altre esperienze di anticorruzione dal basso. Dal febbraio 2012 la Carta di Pisa, codice di condotta per gli amministratori locali, è stata adottata da una decina di Comuni e province della Toscana. Si tratta di un tentativo di predisporre un repertorio di disposizioni dal quale gli amministratori possono attingere per incidere su condotte preparatorie, complementari o conseguenti alla corruzione vera e propria: l’accettazione disinvolta di regali, l’opacità delle decisioni e dei finanziamenti politici, gli arricchimenti inspiegabili, gli inquisiti o i condannati per gravi reati che mantengono incarichi di governo. Per gli amministratori che aderiscono alla Carta di Pisa condotte di questo tipo sono vietate, così come i conflitti di interessi che riguardino sé, familiari o affini fino al quarto grado, il cumulo di cariche, la commistione dei ruoli di controllore e di controllato, l’accettazione di incarichi successivi al mandato presso soggetti privati che hanno fatto affari con l’amministrazione.. La Carta prevede anche l’impiego di criteri diversi dal merito nelle nomine in ruoli dirigenziali, società partecipate e consorzi. Al tempo stesso sancisce una serie di doveri del buon amministratore, dotando i cittadini di diritti e strumenti di controllo, in modo da rendere più aperto e rendicontabile l’esercizio del potere pubblico: denunciare qualsiasi pressione indebita ricevuta, promuovere la partecipazione e aprirsi alle ragionevoli richieste dei cittadini, pubblicare annualmente un bilancio delle proprie attività, motivare le decisioni discrezionali, collaborare con l’autorità giudiziaria. A differenza di altri codici etici, che hanno un peso vincolante inferiore a quello della carta su cui sono scritti, la Carta di Pisa considera le ricadute di una mancata osservanza delle sue disposizioni. Tutti i soggetti che l’hanno sottoscritta – e accanto a loro cittadini, giornalisti, associazioni – nell’assumere un impegno credibile si vincolano non soltanto a rispettarne i contenuti, ma anche a controllare l’adempimento altrui. Se questo non accade, scatta dapprima un richiamo formale, quindi la censura pubblica, da ultimo la revoca dell’incarico. Toccherà al sindaco, ad esempio, togliere la fiducia all’assessore o al presidente di una società partecipata che ha tradito i principi della Carta dopo averla sottoscritta. “Nulla di rivoluzionario- per l’associazione Avviso Pubblico- solo un sunto nero su bianco di elementari norme di buona politica. Ma nell’Italia delle case e delle vacanze in lussuosi resort pagate all’insaputa dei politici e degli alti funzionari che ne hanno beneficiato di lauree albanesi e spaghettini al caviale da 180 euro a spese del contribuente, di esponenti del governo con pendente richiesta d’arresto per corruzione o associazione camorristica, il nostro codice può costituire qualcosa di più di un promemoria, rappresentare un primo sbarramento contro il pericolo che lo spread etico che separa l’Italia dall’Europa si allarghi ancor più di quello che alimenta il debito pubblico”.

Libera e Avviso Pubblico, a riguardo, invocano la ratifica delle convenzioni internazionali contro la corruzione, la confisca e il riutilizzo a fini sociali dei proventi della corruzione e citano la campagna con la raccolta di oltre un milione e mezzo di firme indirizzate al Presidente della Repubblica tra il 2010 e il 2011. Sempre nel 2011, su scala ridotta, si è attivato a Parma un comitato spontaneo di cittadinanza attiva “No alla Corruzione”, con ripetute manifestazioni di protesta che hanno mobilitato migliaia di cittadini contro una giunta sotto scacco per gli scandali. L’esperienza del movimento Signorirossi costituisce un altro tassello di questa cornice di contrasto alla corruzione che fa leva sull’iniziativa di cittadini e amministratori di buona volontà. In questo caso si fa tesoro della vicenda dell’ex consigliere dell’AMIAT, il torinese Raphael Rossi, che ha pagato la denuncia di una profferta di tangenti con la mancata conferma nel consiglio dell’ente, in un completo isolamento istituzionale.