di Rodolfo Fellini
(r.fellini@rai.it)
Per la prima volta in un ventennio, i venezuelani vanno alle urne senza sapere in anticipo chi sarà il loro futuro presidente. Hugo Chavez, capo dello Stato uscente, resta il favorito della vigilia, ma in questa tornata elettorale sembra avere molto più da perdere che da guadagnare. Dalla sua ha il favore delle masse popolari, rinfrancate da uno stato sociale consolidato con i proventi del petrolio, e la stampa ufficiale, che continua ad avere un ruolo preminente nella vita politica del Paese. Basti pensare che, nella sua veste di presidente, Chavez ha un tempo illimitato per parlare in tv, mentre ai suoi contendenti la legge sulla propaganda elettorale riserva tre minuti al giorno. Contro di lui, il logoramento dei 14 anni al potere, di un presenzialismo per l’appunto eccessivo, i misteri sulle sue condizioni di salute, nonché alcune scelte in politica estera, che hanno portato il Venezuela a un semi-isolamento mondiale: gli amici più fidati di Chavez si chiamano Castro, Ahmadinejad, Lukashenko, Assad. Il rischio maggiore, per lui, è tuttavia costituito dalla ritrovata unità in seno all’opposizione.
Il mandato presidenziale dura 6 anni ed è rinnovabile vita natural durante. Prima dell’ultima riforma costituzionale, attuata per volontà di Chavez, il presidente restava in carica 5 anni e poteva essere rieletto solo una volta. Sono chiamati alle urne 19 milioni di cittadini, che potranno scegliere tra 6 candidati. Chi otterrà più voti sarà eletto direttamente, senza bisogno di maggioranza assoluta né di ballottaggio. Le presidenziali giungono due anni dopo le elezioni politiche che hanno messo in evidenza le crescenti difficoltà di Chavez: il suo partito socialista unitario ha perso quasi un terzo dei seggi che deteneva, mentre la coalizione che oggi appoggia Capriles superava il 47% dei voti. Il Parlamento resta tuttavia saldamente nelle mani del presidente, che dispone di 96 deputati su 167. Le prossime elezioni politiche si terranno nel 2015. La campagna elettorale è stata particolarmente tesa, in linea con una corsa che si preannuncia aperta fino all’ultimo. I sondaggi si sono dimostrati poco attendibili, evidenziando margini di vantaggio fino a 20 punti percentuali ora per Chavez, ora per Capriles. La violenza politica è esplosa durante i comizi, con frequenti scontri verbali e insulti tra i principali candidati. Chavez ha dato del maiale finanziato dai narcos a Capriles, il quale gli ha predetto che farà una brutta fine, come Gheddafi. Nell’ultima settimana di campagna, tre dirigenti dell’alleanza di opposizione sono rimasti uccisi in agguati. La vera prova di democrazia consisterà forse nello scoprire quanto i due candidati, convinti della propria vittoria, siano pronti ad ammettere serenamente un’eventuale sconfitta, e con loro anche la piazza.
Finché c’è greggio c’è speranza
La “Rivoluzione bolivariana”, forma di socialismo patriottico preconizzato ed effettivamente attuato da Chavez, si è tradotta in una riforma agraria che ha ridistribuito le terre coltivabili, e nella nazionalizzazione delle aziende di trasformazione delle materie prime, petrolio in primis. Il governo ne ha tratto numerosi programmi assistenziali, con massicci interventi in ambito sanitario, educativo, agricolo e alloggiativo. Le condizioni di vita dei poveri, che restano la maggioranza degli abitanti, sono obiettivamente migliorate, ma la libera impresa e gli investimenti hanno risentito dell’eccessiva presenza dello Stato. Parte dei capitali esteri sono fuggiti dal Paese mentre, sul piano sociale, il solco ideologico tra ricchi e classe media cittadina da una parte e contadini dei ceti più bassi dall’altra diventava sempre più profondo. Il Venezuela deve la sua crescita sostenuta quasi esclusivamente al petrolio, e in particolare al suo maggior partner commerciale, quegli stessi Stati Uniti “imperialisti” contro cui l’attuale dirigenza ha condotto una battaglia puramente retorica, mai seguita da fatti concreti. Gli affari, tra Washington e Caracas, sono sempre al bello stabile. Il sogno di una possibile autarchia resta ancora lontanissimo, in un Paese che non ha saputo diversificare le attività produttive, il modello bolivariano comincia forse a vacillare. Così come vacilla anche la salute del presidente, reduce da tre interventi seguiti da chemioterapia. Nessuno conosce con precisione la natura del suo “ascesso tumorale”, benché voci ricorrenti parlino di cancro al colon.
Un quarantenne per gli under 30
Al contrario di quanto accadde nel 2006, quando la frammentazione favorì la rielezione di Chavez, l’opposizione è riuscita a compattarsi dietro a un avvocato di buona famiglia, il quarantenne Henrique Capriles. Nel suo curriculum, l’approdo in Parlamento a soli 25 anni e alcune settimane trascorse in carcere durante il tentativo di colpo di Stato ordito dall’oligarchia del Paese nel 2002. Capriles è stato nominato al termine delle elezioni primarie, vinte lo scorso febbraio su altri 4 candidati espressi da una trentina di partiti e movimenti. Alfiere del liberismo non sfrenato, di stampo progressista, promette di rilanciare l’impresa senza intaccare quanto di buono c’è nei programmi sociali di Chavez, ma accusa quest’ultimo di aver depredato i cittadini di 60 miliardi di dollari, “regalando” petrolio a Cuba e Nicaragua. Un’altra critica incisiva all’avversario riguarda l’aumento della criminalità, che ha fatto di Caracas una delle città più pericolose al mondo e costringe la classe media a vivere con le sbarre alle finestre. In una campagna elettorale condotta quasi porta a porta, Capriles è riuscito a richiamare nelle piazze centinaia di migliaia di venezuelani, soprattutto giovani, che potrebbero rivelarsi la sua carta vincente. I venezuelani di età compresa tra 18 e 30 anni, cresciuti sotto Chavez e tentati dal cambiamento, costituiscono infatti il 40% del corpo elettorale. Il destino del Paese potrebbe davvero essere nelle loro mani.