50 sfumature di vino


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Poco, ma buono

Non bastasse la crisi economica, quest’anno la vendemmia sarà scarsa. Ma se vale il detto poco ma buono... vino_bianco_296

di Elisabetta Marinelli

Non bastasse la crisi economica, quest’anno la vendemmia sarà scarsa. La più scarsa dal 1950 (a conferma del fatto che viviamo tempi da record al ribasso) e con qualche milione di bottiglie in meno (che probabilmente pagheremo di più). Consola, però, il 'mal comune': le previsioni indicano vendemmie scarse in tutti i paesi produttori. Il clima è impazzito un po' ovunque e caldo e siccità avranno fatto mancare all'appello 18 milioni di ettolitri di vino. E a rassicurare produttori ed enologi, c'è anche la consapevolezza che il vino italiano è buono e che il mercato estero lo salverà. Negli anni, l'Italia ha puntato sempre più sulla ricerca, sulla sperimentazione e sulla qualità del prodotto, tanto da aver fatto del settore viticolo una realtà trainante del nostro export. Quelle dei nostri marchi sono tutte storie che arrivano da lontano. Un grande vino è un fatto di cultura e d'industria, di tecnica e di storia. Ci vogliono diverse generazioni per ottenerlo e significa avere la percezione delle sfumature, l'attenzione per i minimi dettagli produttivi. Vuol dire ripetersi su livelli altissimi ogni anno. E sul palco del 46° Congresso dei Sommelier italiani ne ‘sfilano’ alcuni (ben 50). Tra questi Terlaner, Loewengang, Biondi Santi, Mascarello, Solaia. Raccontati da sommelier ed enologi.

Come nasce un grande vino
Renzo Cotarella, enologo di fama internazionale, incede sul Solaia, nato su terreni ricchi di scheletro (alberese, galestro) con inserti d'argilla rossa, a circa 400 metri sul livello del mare, nel cuore del Chianti classico. “Il Solaia nasce qui nel 1978, quasi per caso, da una costola del Tignanello. C'era troppo cabernet, quell'anno, e tutto di ottima qualità: perché non vinificarlo a parte? L'intuizione fu di Giacomo Tachis, allora maestro di cerimonie delle cantine Antinori”. Seguono l'82, l'85, l'88. Dal terzo anno entra in scena anche il sangiovese, usato per accentuare l'impronta territoriale e nel tempo viene messa a punto una ricetta vincente: 75% di cabernet sauvignon, 5% di franc, 20% di sangiovese. Da allora, un continuo processo di affinamento tecnico in vigna e in cantina: particolare attenzione alla maturazione fenolica delle uve, per ottenere tannini dolci; macerazioni orientate all'ottenimento del frutto più che dell'estratto. L'obiettivo è stato da subito l'eleganza, ma con una spina dorsale robusta: vini con carattere e potenza, ma bevibili sempre. Per Renzo Cotarella un grande vino si può sempre migliorare; sostiene, anzi, di aver capito la "strada" del Solaia dopo dieci annate: produzione rispettosa delle piante e del millesimo, ossessione per i dettagli. Oggi il Solaia è un termine di paragone per i vignaioli di tutto il mondo, dal Médoc all'Australia.

Anche la ‘cantina dell’impero’ tocca l’olimpo
I vini del nord e del centro Italia continuano a farla un po’ da padroni, ma il meridione, che già da qualche anno ha cominciato a produrre vini di livello, si presenta oggi come una grande conferma. La Puglia, per esempio, negli anni ha affinato notevolmente la produzione: molti contadini hanno cominciato ad affidarsi agli enologi, tanti altri sono diventati a loro volta enologi. La tecnica è entrata nelle campagne della 'cantina dell'Impero', come la consideravano gli antichi romani. E aree come Vigne del Barocco, Terra dei Messapi, Primitivi di Gioia e di Manduria, Valle d'Itria, Murgia Carsica, Castel del Monte e Daunia, hanno cominciato a produrre vini con grandi prospettive d’invecchiamento. Siamo nella terra del negroamaro del salento, dei primitivi della Murgia e della Messapia, il nero di Troia della Daunia e del Nord Barese e i bianchi della Valle d'Itria.

Gianfranco Fino produce vino nella piana di Manduria. Il suo Primitivo di Manduria ‘ES’ si è guadagnato un posto d’onore nel mondo dei sommelier. Fino ha acquistato un primo vigneto di un ettaro e venti nell'agro di Manduria quindici anni fa. Le sue vigne sono caratterizzate dall'essere distribuite in piccoli appezzamenti. Produce vino unicamente da vigne vecchie, allevate ad alberello, da cloni particolari e su terra rossa. Basse rese (tre/quattro etti d’uva a ceppo) con costi di produzione elevati, ma i risultati sono davvero di qualità: ne viene un vino unico e irripetibile che nasce proprio grazie a queste condizioni. “Queste rese limitate unite a un forte equilibrio vegeto-produttivo ci consentono di ottenere uve perfette anche in maturazione”. Si dedica in particolare a due vitigni del territorio: il Primitivo e il Negroamaro. Quando si lavora bene in vigna, facendo maturare correttamente le uve e contenendo le rese, il Primitivo fornisce ottimi risultati. A volte occorre intervenire con l'affinamento in barrique o in botte grande per far esprimere al massimo le potenzialità di invecchiamento: è un buon solista, ma anche un vitigno miglioratore, tanto che in passato era utilizzato per tagliare altri vini. “Il Negroamaro è invece molto produttivo; occorre stare molto attenti alle rese. Faccio dei diradamenti massicci per lasciare poca uva su ogni ceppo ed essere così certo che maturi perfettamente. Favorito da buone annate e da forti diradamenti, riesce a divenire un grande prodotto. Ecco il perché di vinificare in purezza”. E' il Primitivo il suo fiore all'occhiello: un vino "artigianale", prodotto in pochi esemplari, maestoso, rubino intenso, che rilascia profumi di marasca sotto spirito e carruba. Continua con sfumature di cacao, caffè e nocciola. Al palato i tannini morbidi circondano la potenza di un’alcolicità ben presente, ma non opprimente, e con lunga persistenza al palato. Vale il detto "poco, ma buono".