di Elisabetta Marinelli
L’ecosostenibilità è il tema più forte con il quale, nei prossimi anni, tutti i settori produttivi si dovranno confrontare. E per affrontare il futuro si torna ai sistemi del passato. Non si butta via niente e si fa tutto in “casa”, lungo una via colorata di verde che permette di abbattere i costi e contrastare la crisi.
Anche nel settore vinicolo non mancano, tra i produttori, esempi di logica “green”, dalle bottiglie alleggerite alle etichette in carta riciclata fino alla bio-benzina ottenuta con l’etanolo. Si risparmia rispettando l'ambiente e viceversa. Ma la vera sfida, il salto, è raggiungere un obiettivo che investe l'intera filiera della produzione vinicola: il marchio di 'sostenibilità' voluto anche dal ministro Clini.
Se ne è parlato durante il 46° Congresso nazionale dei Sommelier in corso a Roma, ospiti anche alcuni tra i migliori produttori di vino nostrano, che in questa prima giornata d'evento hanno un po' rubato la scena ai 500 specialisti in raduno. La crisi morde e le politiche ecosostenibili (che pure hanno risvolti economici) hanno reso tutti più sensibili. Da Nord a Sud, le aziende italiane stanno mettendo a punto metodi meno aggressivi sull’ambiente: oggi, in tutto il mondo, un marchio “eco” coincide con eccellenza e distinzione. Del resto, si tratti pure di nuove tendenze e mode, il fatto che il prodotto biologico e biodinamico abbia iniziato a trovare ampia rispondenza sui mercati, indica chiaramente quanto il tema ambiente sia diventato importante nelle scelte dei consumatori. E dal vino prodotto riducendo le emissioni di anidride carbonica a quello maturato nelle anfore o sotto il mare, l’obiettivo resta lo stesso: l’ecocompatibilità.
La via green del vino
“Magis”, “SoStain”, “Itaca”, “Carbon footprint”, “Montefalco Green Revolution”: sono solo alcuni dei nomi dei progetti che diverse cantine italiane stanno portando avanti nell’ottica non solo di una produzione vinicola più sostenibile per l’ambiente, ma anche per l’economia, per il territorio e per il sociale nel suo complesso. Si studiano processi che tengano conto della gestione delle acque, della pulizia dell’aria e della gestione dei rifiuti; della gestione della biodiversità e del rapporto tra produzione e consumi di energia. Quel che si cerca di fare è arrivare a un protocollo unico per tutti i produttori (che non mortifichi la singolarità di ogni marchio) mirato a produrre uve e vini che rispondano alla domanda del consumatore, privilegino i processi di regolazione naturale, limitino l’uso dell’energia e preservino e valorizzino i paesaggi viticoli. Un modello creato sulla base delle esperienze dei produttori grazie al quale l’Italia sarà riconosciuta, soprattutto all’estero, come “produttore sostenibile” di vino. Senza cadere nel rischio di identificare sostenibilità (solo) con “biologico” e “biodinamico”.
Biologico o biodinamico? C’è chi ha scelto il ‘dinamico’
L’azienda Tasca D’Almerita, sulle colline di Regaleali (Palermo), ha vigneti che si estendono per 600 ettari. La scelta ‘sostenibile’ ha significato lavorare affinché l’ambiente lasciato a figli e nipoti sia migliore di quello attuale. Non con il biologico o il biodinamico, ("troppo dogmatici"), ma col ‘dinamico’, vale a dire migliorando di anno in anno le tecniche di produzione. Si fa attenzione alle emissioni di gas serra (quando si pensa al vino, non si pensa al fatto che produrlo possa inquinare...), e all'utilizzo dell'acqua (nemmeno allo sfruttamento delle risorse naturali). "Stiamo attenti alla qualità del terreno e all'impatto che la nostra attività ha sulla comunità". Si aumenta al massimo la biodiversità ambientale. A vigneto spiantato, ad esempio, si aspettano tre anni prima di reimpiantarlo, per il riposo benefico del terreno che ne garantisce la futura fertilità; nei trattamenti antiparassitari vengono scelti solo i prodotti a più basso impatto e solo in presenza di rischio. Si cerca la 'misura', insomma, per integrare metodi chimici, agronomici e biologici e ridurre sempre di più l’impatto sull’ambiente e sull’uomo. La volontà è di "conservare boschi, laghi, pascoli e colture. L’ecosistema con i suoi equilibri..."
La vigna naturale
Partire dalla cura del terreno è il primo passo per un prodotto di qualità e in rispetto dell'ambiente. Vuol dire terra in buona 'salute' e generosa e uva buona. Di per sé una ricchezza, che si può conservare facendo attenzione alla biodiversità del terreno. Un terreno ricco di biodiversità è la via indicata dalla "cattedra" del Congresso da Attlio Scienza (professore di viticoltura all’Università di Milano): "La ricchezza rappresentata dalla variabilità vegetale (e animale) è un patrimonio inestimabile"- dice, ricordando che ciò che l'uomo ha selezionato, senza l'uomo non vivrebbe- "Naturale non esiste, è naturale solo ciò che è selvatico. E' l'uomo ad aver selezionato, ha un ruolo fondamentale e deve operare". Come? Avere a disposizione un terreno ricco di biodiversità (ne fanno parte, per esempio, i banalissimi lombrichi) è fondamentale per capire l'impatto delle tecniche di coltivazione sui campi. Per l’ambiente viticolo si parla di 'corridoio ecologico'. Le modalità per farlo sono diverse e vanno dal semplice inerbimento naturale dei vigneti, alla creazione di zone naturali, di 'rispetto' all’interno di aree intensamente coltivate. Qui si ricreano sistemi di vita biologica più complessi. Ed è questo il segreto del vigneto naturale, il cosiddetto "terzo paesaggio": una 'striscia' di terra, compresa tra qualche decina di centimetri di soprasuolo e altrettanti di sottosuolo, ricca di specie e dunque indicatrice di come e quanto la mano dell'uomo ne sconvolge gli equilibri.