di Federica Marino
(marino@rai.it)
Vermeer a Roma, con otto dei trentasette dipinti che attualmente costituiscono il suo catalogo verificato: prenotazioni con mesi di anticipo e molta curiosità, sull’onda lunga della Ragazza con l’orecchino di perla e quella lunghissima della riscoperta proustiana dopo duecento anni di confortevole oscurità.
La Ragazza non c’è, perché ormai troppo famosa: risaltano meglio altre tele, finora un poco oscurate da quella, e i riflettori guardano altrove e riportano in primo piano una complessità che la moda aveva relegato sullo sfondo.
Una mostra contestualizzata, quella alle Scuderie del Quirinale: l’artista di Delft, che oggi è considerato paradigma dell'arte venuta dal Nord, è presentato nel rapporto con il suo tempo e con i contemporanei del “secolo d’oro” della pittura olandese.
La scelta, se può sembrare deludente a chi cerca il pittore misterioso e superstar, è invece filologicamente corretta: superando la concezione dell’artista-genio, la mostra presenta infatti uno spaccato ricco e rappresentativo del periodo in cui Vermeer operò, riconoscendo a lui un ruolo privilegiato in un terreno comunque fertile e accogliente.
Delft, metà del Seicento: ventiduemila abitanti e cinquantadue artisti, regolarmente registrati nelle gilde in cui si struttura la società olandese. Figlio di un mercante d’arte e oste, cattolico per amore in terra protestante, padre di famiglia carico di debiti e a carico della suocera, Vermeer non brilla, in vita: più noti di lui ci sono colleghi e amici come Fabritius, de Witte o de Hooch, con altri oggi meno noti, e tutti interpreti della cultura medio borghese dell’Olanda del diciassettesimo secolo.
Mentre a Roma e in tutta Italia chiese e palazzi barocchi si riempiono di grandi tele volute da altrettanto grandi committenti, l’Europa protestante si rivolge agli interni – spirituali e domestici – appassionandosi a scene di intimità familiare e quotidiana: ai principi si sostituiscono i birrai e i cavalli in guerra lasciano il posto al gatto di casa. In tele di piccolo formato, le famiglie olandesi appendono al muro la propria vita o si godono le vedute delle loro città, teatri di battaglie meno clamorose di quelle militari: lavorare, studiare, produrre, insomma contribuire al mondo in cui sono stati posti dalla volontà divina.
In questo panorama di rigore e operosità anche Vermeer fa la sua parte, eppure spicca: le sue scene di vita quotidiana, simili per soggetto a quello dei colleghi contemporanei, sono inondate di luce che le trasfigura e raffredda, portandole su un livello altro.
Poco importa se quella luce, quella precisione fotografica dei dettagli, siano dovute all’uso – mai dimostrato seppure probabile – della camera oscura da parte dell’artista: la Ragazza col cappello rosso, portabandiera della mostra, non è più soltanto una giovane borghese di Delft, ma rappresenta l’enigma della sua età, lo sguardo diretto e pieno di dubbi e le labbra socchiuse, forse, a una domanda o a un richiamo. L’atmosfera è cristallina e rarefatta, come sospesa: in quel momento di fermo immagine sembra condensato il mistero senza tempo di Vermeer, artista-artigiano reso opaco dal tempo ma illuminato dalla sua arte.
Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese
Roma, Scuderie del Quirinale
Dal 27 settembre al 20 gennaio 2013