Professore, le vostre ricerche sono finalizzate ad identificare i geni associati con la predisposizione individuale ad alcuni tipi di tumore in particolare quello al polmone nell’ambito del progetto anti-fumo dell’Istituto Nazionale dei Tumori. A che punto è la ricerca?
I test genetici sono già disponibili per alcune sottocategorie di tumori rari e famigliari, come il retinoblastoma, i tumori famigliari della mammella e del colon-retto. Tali test genetici identificano mutazioni rare che sono presenti nel DNA già alla nascita, e possono essere molto predittivi nella identificazione degli individui ad alto rischio genetico. Per quanto riguarda il polmone, non esistono ancora test genetici predittivi e il principale fattore di rischio per tale tumore resta l’abitudine al fumo di sigaretta. La ricerca genetica ha fatto notevoli progressi con l’analisi del DNA di persone malate e di persone sane, confrontando il DNA di migliaia di individui e identificando alcune regioni cromosomiche implicate nel tumore. Tuttavia al momento questi studi non hanno permesso una comprensione completa degli effetti genetici. Questi risultati, quindi, a differenza di quanto accade con i tumori familiari o con i tumori rari, danno una bassa probabilità di identificare il rischio genetico individuale.
Perché?
Probabilmente perché il modello genetico che controlla il rischio individuale è ancora poco conosciuto e occorre continuare con questi studi ed integrarli associando la genetica con la biologia. Il limite di questi studi è che sono basati sul modello di un singolo gene responsabile della malattia: l’elevato rischio individuale di malattia potrebbe però essere determinato dalla combinazione di diversi geni.
La scoperta innovativa riguarda i polimorfismi genetici responsabili dell’attitudine al fumo e della conseguente assuefazione alla nicotina. Come è arrivato il suo team alla scoperta dei polimorfismi del gene della nicotina?
Siamo partiti dall’analizzare gli studi di popolazione che hanno indicato un’ampia regione cromosomica che era associata all’abitudine al fumo e ad un elevato rischio di cancro al polmone. Questa regione comprendeva sei geni, tra cui tre recettori nicotinici (CHRNA3, CHRNA5, CHRNB4), ognuno dei quali conteneva molteplici variazioni genetiche. La capacità analitica di questi studi non era arrivata ad individuare il gene specifico legato all’attitudine al fumo e al rischio di cancro polmonare. Studiando la regione coinvolta, abbiamo cercato un elemento funzionale, cioè di individuare la funzione biologica associata ai vari polimorfismi. Abbiamo scoperto che un piccolo gruppo di quattro variazioni genetiche presenti nel gene CHRNA5, che codifica per la subunità 5 del recettore nicotinico, era in grado di controllare i livelli quantitativi di tale gene che sono prodotti dalla cellula. Allo stesso modo, la combinazione di tali variazioni genetiche (definita aplotipo) era in grado di distinguere gli individui che avevano una elevata probabilità di abitudine al fumo di sigaretta e di conseguenza un elevato rischio di cancro polmonare dagli individui con scarsa attitudine al fumo e basso rischio genetico di cancro polmonare.
Il paziente cosa si può attendere da questi studi?
Oggi sappiamo che certe variazioni genetiche sono associate al rischio individuale di abitudine al fumo. Il passo successivo sarà quello di capire in dettaglio il meccanismo biologico che lega tali variazioni genetiche con le abitudini individuali. In particolare, stiamo studiando come i polimorfismi genetici da noi identificati possono modulare la risposta individuale alle terapie antifumo condotte anche attraverso la somministrazione di farmaci già disponibili. Si tratta di studi che appartengono al settore della farmacogenomica, cioè a quella parte della scienza volta alla comprensione dell’interazione tra la genetica individuale e la terapia farmacologica. Gli individui ad alto rischio genetico possono beneficiare fin da ora di una maggior attenzione del medico nella somministrazione delle terapie antifumo che lo aiutino a non fumare o a smettere più facilmente. Quindi, in base alle varianti presenti nel DNA, ogni individuo potrebbe avere una cura personalizzata per intensità, tipo e durata, e la ricerca sta andando in questo senso.
Per questo serve il test genetico che l’Istituto ha inserito nel progetto antifumo? E’ da lì che si vede se una persona ha le variazioni, i polimorfismi sul recettore della nicotina tali che avrà più difficoltà nell’astenersi dal fumo?
Una volta estratto il DNA, analizziamo quel segmento che contiene le 4 variazioni specifiche che modulano il rischio individuale di abitudine al fumo. Infatti, chi presenta quelle specifiche variazioni del gene CHRNA5 che lo rendono predisposto all’abitudine al fumo, potrebbe anche avere una maggiore difficoltà a smettere di fumare e necessitare di terapie personalizzate.
Ma si riuscirà quindi a stabilire se diventeremo dei fumatori e se una volta iniziati al fumo riusciremo a smettere?
Per ora non sappiamo quanto incidono sia la componente genetica che lo stress o altri fattori sulla decisione dell’individuo di diventare un fumatore. Il CHRNA5 è un gene strettamente correlato alla nicotina e quindi all’abitudine al fumo; le variazioni genetiche di questo gene potrebbero essere coinvolte nella difficoltà di astenersi o meno dalle sigarette. Di conseguenza, chi ha una predisposizione genetica al fumo potrebbe fare molta più fatica a smettere di fumare rispetto agli individui, pur fumatori ma che non hanno tale predisposizione o che l’hanno in maniera attenuata. I nostri studi sui soggetti trattati farmacologicamente nella terapia antifumo sono ancora in fase iniziale e abbiamo bisogno ancora di diversi mesi prima di poter trarre delle conclusioni anche preliminari.
Secondo una ricerca Usa pubblicata sulla rivista Chemical Research in Toxicology, il fumo provoca danni alla salute nell’arco, non solo di anni ma di pochi minuti. Gli agenti chimici presenti nella sigaretta che causano il cancro si attiverebbero a livello del metabolismo subito dopo avere fumato una sigaretta. Ci sarebbero anche delle alterazioni nelle cellule delle vie respiratorie anche con pochi tiri e anche per i fumatori passivi. E’ vero?
Si tratta di risultati noti già da molti anni. La sigaretta è in grado di modificare l’espressione dei geni nelle cellule in coltura, nel tessuto polmonare e in quello bronchiale. Non sappiamo ancora, però, quale potrebbe essere l’effetto genetico sui fumatori passivi.
Professor Dragani, i ricercatori Usa della Southwest Foundation for Biomedical Research di San Antonio, Texas, hanno scoperto recentemente che un vasto gruppo di geni cambia la propria espressione a causa del fumo. Per la precisione, si parla di 323 geni. La ricerca ha riguardato oltre 1200 persone e costituisce l’indagine genetica molto approfondita. Secondo Jack Charlesworth, coordinatore dello studio pubblicato su BMC Medical Genomics, oltre ai singoli geni, sarebbero interi network ad essere influenzati dall'esposizione al fumo. Cosa ne pensa? E' vero quindi che ogni sigaretta fumata produce un'alterazione genetica significativa anche sui fumatori passivi?
Si tratta di risultati in parte già noti che confermano su più ampia scala gli effetti genetici del fumo di sigaretta. Certo che la sigaretta è in grado di modificare l’espressione dei geni nelle cellule in coltura, nel tessuto polmonare e in quello bronchiale. Del resto, è intuitivo che sia l’irritazione cronica provocata dal fumo, sia le sostanze in esso contenute modifichino la trascrizione dei geni nel tessuto polmonare. Quello che però potrebbe causare una singola sigaretta fumata non lo possiamo sapere, perchè tali studi non sono in grado di rivelarlo. Non sappiamo ancora l’effetto genetico sui fumatori passivi.
Professore, la genetica potrà dare delle risposte concrete sia per la diagnosi precoce sia per le terapie anticancro? La nuova frontiera della cura potrebbe essere quindi la farmacogenomica?
Pensi che se si riuscisse ad individuare i gruppi di pazienti che beneficiano di una particolare terapia o che non presentano effetti collaterali, dai pazienti che invece non rispondono a tale terapia o che sono soggetti agli effetti collaterali, si eviterebbe di effettuare trattamenti farmacologici inutili, costosi e potenzialmente dannosi.
Con nuove acquisizioni nel campo della farmacogenomica si potrebbe quindi somministrare una terapia solo ai pazienti che hanno una elevata probabilità di beneficiarne e di contrastare quindi la malattia con minimi effetti collaterali.
Tutto ciò dipende anche dai finanziamenti alla ricerca e spero che ci sia una sensibilità maggiore nel finanziare le ricerche genetiche volte a scoprire i meccanismi della risposta individuale ai farmaci. Tale ricerca scientifica costerebbe relativamente poco ma potrebbe dare tanto non solo in termini di salute ma anche di risparmi al Servizio Sanitario Nazionale che eviterebbe di fornire farmaci inefficaci per alcuni individui ed eviterebbe anche costose cure ospedaliere per il trattamento degli eventuali effetti tossici collaterali.
Secondo la sua esperienza, un vaccino antifumo sarà possibile nei prossimi anni?
Credo che siano già stati fatti alcuni tentativi e che altri siano in corso o in fase di sviluppo. Bisognerà attendere i risultati di ampi studi di popolazione per valutare l’efficacia di un eventuale vaccino antifumo e il suo rapporto rischi/benefici.(fdj)