Su energia nessuno sconto, solo regole Ue

Intervista al sottosegretario Claudio De Vincenti de_vincenti_296

di Emanuela Gialli
(e.gialli@rai.it)  

All’indomani della nota del Ministero dello Sviluppo economico con la quale il governo di fatto risponde “picche” alla richiesta di Glencore di pagare l’energia, per i prossimi 10 anni, non più di 25 euro a megawattora, Televideo ha intervistato il sottosegretario Claudio De Vincenti, che da gennaio segue la vertenza.

La nota diffusa nelle ultime ore dal Ministero è in pratica un “no” alla Glencore?
No, è un chiarire definitivamente a Glencore che il prezzo dell’energia, che il governo italiano è in grado di proporre allo stabilimento di Portovesme, attraverso le misure che sono coerenti con la normativa europea, di 35 euro a megawattora, è in linea con la media europea. Non solo, è più basso di quanto non sia in altri Paesi concorrenti nella produzione di alluminio, come la Germania, l’Olanda, la Spagna. Quindi, noi abbiamo detto a Glencore: ‘Questo è un prezzo competitivo, non siamo disposti a fare nulla che vada contro le regole europee. Questo è un prezzo compatibile con le norme Ue’. Adesso invitiamo Glencore finalmente a fare la sua proposta ad Alcoa. Perché in tutta questa vicenda, Glencore finora non ha mai mandato una lettera di interesse ad Alcoa. Noi sollecitiamo Glencore a farsi avanti.

Però non sembra che ci siano i presupposti. La svizzera Glencore pochi giorni fa ha fatto una richiesta, se mi è permesso, anche un po’ sfacciata, al governo italiano. Ha detto di non essere disposta a pagare l’energia più di 25 euro megawattora per i prossimi dieci anni.
E’ la richiesta di Glencore che, semplicemente, non può essere esaudita, perché è una richiesta ‘fuori mercato’. Se dovessimo tentare di ipotizzare quel prezzo a Glencore, andremmo contro la normativa europea. Quindi non possiamo farlo. Tutto qui.

Praticamente, Glencore chiede un trattamento più favorevole di quello riservato ad Alcoa
Noi abbiamo indicato lo stesso prezzo che proporremmo e che siamo pronti a proporre a chiunque rileverà lo stabilimento, sempre con gli stessi strumenti consentiti dalla Ue.

Insomma, come dire: ‘Patti chiari’. Avete ricevuto un’ulteriore indicazione da parte dei sindacati su come hanno accolto questa notizia? Sappiamo che vi chiedono una soluzione con la esse maiuscola.
Guardi, noi come governo non abbiamo accolto bene la notizia, perché ci sarebbe piaciuto che Glencore mostrasse una disponibilità a fare l’investimento nelle condizioni che sono definite anche per tutti gli altri potenziali partner. In ogni caso, abbiamo altre manifestazioni di interesse, formalizzate con lettere mandate ad Alcoa, sulle quali noi stiamo lavorando seriamente. Le condizioni che offriamo a tutti coloro che sono interessati sono quelle, condizioni che gli altri hanno ritenuto adeguate, perché sanno bene che è un prezzo competitivo in Europa.

Quali sono attualmente le proposte arrivate ad Alcoa?
Ce ne sono di diverse. Due di particolare rilievo, però mi consenta di mantenere una corretta discrezione, perché queste trattative si fanno in modo riservato, non sulle prime pagine dei giornali. Comunque, una è già nota, è quella di Klesch, sulla quale c’è una interlocuzione attivata con Alcoa. L’altra è ancora in fase di esame, anche se la lettera è già stata mandata ad Alcoa.

Però non si sa se Klesch è disposta a pagare l’energia 35 euro.
Ma Klesch sa già che le condizioni sono quelle. Ne abbiamo parlato prima che Klesch mandasse la lettera di interesse ad Alcoa. Abbiamo esplicitato tutte le condizioni riguardanti l’energia.

A volte si dice che gli imprenditori italiani sono abituati bene in Italia perché nel corso degli anni hanno ricevuto qualche aiuto dai governi. Però anche quelli stranieri, come in questo caso l’ Alcoa, che per dieci anni ha pagato l’energia a un prezzo al di sotto della media europea e poi c’è stata la procedura di infrazione Ue, perché è come se avesse ricevuto aiuti di Stato. Questa posizione ben definita da parte del Ministero dello Sviluppo economico fa sì che in futuro non ci siano più margini per le industrie che operano in Italia. In pratica, che gli imprenditori, italiani e stranieri, d’ora in poi dovranno fare il loro mestiere?
Assolutamente sì. Ma, naturalmente, dico che gli imprenditori devono fare il loro mestiere nelle condizioni del mercato integrato europeo, però dico anche che noi, il nostro governo, con i provvedimenti che ha già preso, e con gli altri che sta per prendere, sta cercando di creare l’ambiente più favorevole possibile perché gli imprenditori siano in condizioni di investire e di esprimente le loro capacità imprenditoriali nel nostro Paese. Quindi, le regole devono essere uguali per tutti e devono essere uguali a quelle del mercato unico europeo: in questo quadro il governo è impegnato a creare le condizioni, legislative e infrastrutturali, perché gli imprenditori possano giocare la loro partita. Noi invitiamo le imprese a venire in Italia, vogliamo che il nostro Paese attragga gli investimenti.

Sottosegretario De Vincenti, ma lei è d’accordo con i sindacati che parlano di desertificazione industriale? E’ questo un prezzo inevitabile da pagare alla crisi? Si ha l’impressione che l’industria in Italia si stia perdendo, sia lasciata andare, per favorire magari altri settori dell’economia, come ad esempio il turismo. Lei pensa che sia un po’ questa la tendenza attualmente nel nostro Paese?
L’Italia è il secondo Paese manifatturiero in Europa e il governo opera perché l’Italia mantenga questa posizione e l’industria continui a essere un perno decisivo dell’economia italiana. Teniamo conto che è vero che altri settori di servizio, tra cui il turismo, è bene che crescano, e sono un’importante carta che il nostro Paese ha da giocare. Però i servizi stessi crescono meglio se l’industria è sana e forte, se c’è cioè un settore industriale trainante della competitività sui mercati internazionali. Anche noi siamo preoccupati della crisi che c’è. E’ chiaro che la crisi che ormai viviamo da quattro anni sta sottoponendo l’industria e l’economia italiana in generale a una prova molto difficile, però proprio per questo il governo sta lavorando per rafforzare, come dicevo prima, proprio le basi strutturali grazie alle quali l’economia italiana possa competere sui mercati internazionali e grazie alle quali l’industria possa riprendersi. La preoccupazione espressa dai sindacati noi la comprendiamo e stiamo operando esattamente nella direzione di ridare un futuro all’industria italiana.

Anche perché ci sono filiere che non si possono perdere, come appunto quella dell’alluminio, ritornando a Portovesme, importante nei settori della Difesa e dell’Aerospazio. Possiamo chiudere questa intervista con una speranza per i lavoratori di Alcoa e per tutti i lavoratori impegnati nell’industria italiana?
I lavoratori di Alcoa sanno che il governo sta lavorando per assicurare un futuro produttivo allo stabilimento. Stiamo lavorando con grande impegno da gennaio scorso, da quando si è aperta la vertenza. Questo sicuramente è l’obiettivo del governo. I lavoratori sanno anche che la situazione è difficile e che noi stiamo lavorando in modo molto serio, molto attivo, per affrontare una situazione molto difficile, ma che noi riteniamo possa trovare soluzione. Occorrerebbe una certa continuità nell’azione di governo.

Una battuta finale: forse dovremmo sperare in un Monti-bis?
Non sta a me esprimermi su questo problema. Io mi attengo a quello che il presidente del Consiglio dice su questo punto. Non sta a me, come sottosegretario, esprimere alcun parere in merito.

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E’ opportuno a questo punto spiegare perché Alcoa ha pagato l’energia, per oltre 10 anni, secondo i sindacati, meno di 30 euro a megawattora.

La società americana ha acquistato lo stabilimento di Portovesme, dopo aver stipulato con il governo un accordo di dieci anni, dal 1996, dunque prima dell’euro, al 2005, per l’acquisto di energia a un prezzo scontato, perché allora non vi era una normativa europea in materia. Dicono i delegati sindacati che di fatto Alcoa su 150 milioni di euro di bolletta annuale pagava circa 50 milioni, il resto, cioè circa 100 milioni, lo pagava il governo.

Dopo il 2005, l’Ue si accorge che l’Italia, rispetto alla media europea, sta facendo pagare di meno l’energia a un soggetto privato, imprenditore, e apre così la procedura di infrazione per aiuti di Stato. Ma Alcoa ha continuato ad avvalersi del prezzo di favore, considerata la situazione logistica dell’isola (i famosi problemi infrastrutturali di approvvigionamento di energia). Il governo ha chiesto però una fidejussione di 13 milioni di euro mensili.

Da circa due anni Alcoa paga più di 35 euro, perché gli accordi, prorogati oltre il 2005, non valgono più.

E c’è un altro aspetto che sottolineano i sindacati: gli “oneri di dispacciamento e di trasporto” da versare a Terna hanno un costo in Sardegna di 10 euro sulla singola bolletta, la stessa cifra che viene versata dalle aziende di Pisa, ad esempio. Basterebbe, dicono i sindacalisti, scontare questa tariffa per far risparmiare l’azienda che dovrebbe subentrare nello stabilimento di Portovesme.