Alcuni farmaci potrebbero bloccare la malattia?


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Alzheimer, nuove speranze per il futuro

Il 21 settembre la XIX giornata mondiale m

di Fabrizio de Jorio
(fa.dejorio@rai.it)

“Ciao...ho scoperto che mia mamma è malata di Alzheimer. Cerco qualcuno che possa condividere con me il mio dolore, che sappia cosa si prova ad avere a che fare con questa terribile malattia e che quindi possa capirmi ed aiutarmi anche nell’accudire mamma. Mi sento sola con un compito più grande di me”. Grazie Lorenza

Quello di Lorenza è uno dei tanti messaggi che affollano i siti sulla salute ma in generale i siti dove i familiari di un malato di Alzheimer condividono esperienze, opinioni, informazioni. Il 21 settembre si celebra la XIX giornata mondiale sull’Alzheimer, la malattia del terzo millennio: silente ma devastante, non solo per il malato, ma anche e soprattutto per i familiari. L’appello di Lorenza è emblematico: chi ha un parente con l’Alzheimer, o una malattia neurodegenerativa come il Parkinson, lo sa. Non ti puoi distrarre, non un momento di relax perché può capitare che la mamma o il nonno malato accenda il gas dei fornelli e si dimentichi di chiuderli, oppure che esca di casa e non si ricordi più dove abita. I numeri dell’Alzheimer sono allarmanti, nel mondo, ma anche in Italia: oltre un milione di malati e 150.000 nuovi casi ogni anno con costi sanitari e indotti tra i 15.000 e i 50.000 euro annui a paziente. L’Europa dieci anni fa lanciò un monito: l’Alzheimer è una “priorità sociale” e chiedeva agli stati membri di legiferare per dare risposte immediate e concrete all’allarmante fenomeno dell’aumento esponenziale di malati di patologie neurodegenerative.

Recentemente l’Organizzazione mondiale della Sanità e l’Alzheimer’s Disease International, hanno definito le demenze “una priorità di salute pubblica” e “un problema globale, non solo malattie del mondo industriale”. L’Oms ha chiesto ai governi mondiali, ai responsabili politici e a tutte le parti interessate di affrontare in maniera consapevole e sostanziale l'impatto di una malattia che crescerà a dismisura nei prossimi anni. Si stima che nel mondo la demenza oggi colpisce oltre 35 milioni di casi nel mondo, ma le stime annunciano cifre allarmanti: si prevede infatti un aumento del 70% della sindrome entro la metà del secolo. Circa 115 milioni saranno le persone affette da sindromi neurodegenerative.

Ma secondo Margaret Chan, direttore generale dell'Organizzazione mondiale della Sanità, fino ad oggi solo 8 dei 194 Stati membri dell'Oms hanno un Piano nazionale sulle demenze in atto: e in quel numero ristretto l'Italia non rientra. Il Senato lo scorso anno, ha approvato tre mozioni che impegnano il governo nella lotta all’Alzheimer. Su questa linea in breve il governo dovrebbe auspicabilmente promuovere una intensa attività di monitoraggio epidemiologico per tenere sotto controllo l’evoluzione della patologia e dall’altro creare le condizioni per un sostegno concreto allo sviluppo della ricerca scientifica per le malattie neurodegenerative e in generale tutte quelle legate alla demenza. Le Onlus e le associazioni dei malati auspicano anche una rapida approvazione di una legge quadro che recepisca le indicazioni dell’Europa e chiedono alla politica di non tarare a dare risposte immediate soprattutto per l’assistenza domiciliare quotidiana che consentirebbe alle famiglie dei malati di avere un aiuto in casa con il proprio parente quando torna dopo un periodo di degenza dall’ospedale. C’è anche il problema non di poco conto che riguarda l’aggiornamento degli operatori del settore: sono in tanti a chiedere che sia garantita una omogeneità nella rete integrata dei servizi socio-sanitari assistenziali su tutto il territorio nazionale.

Le associazioni dei malati chiedono che la politica intervenga subito
Il "Piano regionale" è certamente un importante traguardo ma per Sandra Fanfoni, vice presidente dell’Associazione Alzheimer Anziano Fragile Onlus e direttore UOC di geriatria al Nuovo Regina Margherita di Roma, c’è “la necessità che tale Piano rappresenti soprattutto il punto di partenza per la rapida realizzazione di quanto previsto in favore dei cittadini affetti da malattia di Alzheimer- Perusini ed altre forme di Demenza e delle loro famiglie. Inoltre, dal momento che non è stato ancora approvato un Piano a livello Nazionale, nonostante le oltre 15.000 firme presentate alla Camera e al Senato dall’Associazione Alzheimer Anziano Fragile Onlus, sarebbe utile che il "modello Lazio" venga adottato dalle altre Regioni dando una risposta necessaria e tempestiva al monito dell’Unione Europea , dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Alzheimer's Disease International che hanno definito la Demenza una priorità di salute pubblica”.

Secondo il prof. Gabriele Carbone, responsabile Centro Demenze Unità Alzheimer, Italian Hospital Group di Guidonia, “la malattia di Alzheimer rappresenta la forma di demenza più frequente negli ultra65enni e le donne sono più colpite degli uomini”. Oggi, nel mondo, si stimano 25 milioni affetti da Alzheimer, con 4,6 milioni di nuovi casi l'anno e una nuova diagnosi ogni 7 secondi; in tutta Europa sarebbero circa 7,3 milioni. In Italia i pazienti affetti da demenza sono oltre 1.000.000 e di questi circa 600 mila sono casi di Alzheimer, con un incremento annuo di circa 150.000 nuovi casi di demenza di cui almeno 80.000 casi di Alzheimer. Questi dati, come ci conferma Carbone “sono probabilmente sottostimati e quindi destinati ad aumentare. Tra poco più di 20 anni saranno 35 milioni le persone affette da Alzheimer o altre forme di demenza, nel 2050 oltre 115 milioni”. Per questo “bisogna affrontare la malattia con un approccio globale alla cura delle persone colpite e dei suoi familiari, offrendo una rete integrata di servizi che possa rispondere alle esigenze socio-sanitarie che si manifestano nel lungo decorso della malattia (10-15 anni), garantendo una continuità assistenziale con la giusta intensità di assistenza, prevedendo luoghi di cura ad hoc e soprattutto privilegiando l’assistenza domiciliare che, per la natura stessa della malattia, è il luogo più idoneo per prendersi cura di questi pazienti”.

Su questa linea, che le associazioni dei malati hanno unanimemente accolto con favore, si è mossa la Regione Lazio e il 25 aprile di quest’anno, dopo un iter di circa due anni, ha approvato il "Piano regionale in favore di soggetti affetti da malattia di Alzheimer- Perusini ed altre forme di demenza". Un provvedimento fortemente voluto da Alessandra Mandarelli, presidente della Commissione Sanità della Regione Lazio, che ha sottolineato come la nuova legge “ è incentrata sulle istanze delle associazioni dei familiari e del mondo scientifico e punta all'integrazione ed al miglioramento della rete dei servizi socio-sanitari, alla diagnosi precoce ed alla presa in carico globale dei pazienti e delle loro famiglie”. In effetti la legge della regione Lazio è un 'modello' normativo ed assistenziale virtuoso, in risposta alla patologia di Alzheimer ed al monito europeo.

Alzheimer: una recentissima ricerca italiana coordinata dal professor Lucio Annunziato, dell’Università Federico II di Napoli, farà intravedere nuove speranze, non a breve, ma fra 8/10 anni per un farmaco che protegga i neuroni ritardando il progredire della malattia

Per ora i farmaci per l’Alzheimer sono solo sintomatologici, come ha anche detto il prof. Gabriele Carbone, ma una speranza arriva da una ricerca del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Federico II di Napoli, coordinata dal Lucio Annunziato, insieme ad altri ricercatori e che sembra aver trovato una strada per sperimentare un farmaco che protegga i neuroni. La ricerca del prof. Annunziato, “Il frammento della sostanza neurodegenerativo della Betamiloide attiva lo scambiatore sodio-calcio e ritarda l’attivazione dei meccanismi di morte neuronale”, è stata recentemente pubblicata sul Juornal of Neuroscience, organo della società americana di Neuroscienze, con oltre 34mila ricercatori a livello internazionale. Annunziato ci spiega come questa scoperta può tradursi in una speranza per i malati di Alzheimer: “La betamiloide taglia la proteina, lo scambiatore di membrana sodio-calcio, facendolo funzionare meglio e provocando il ristoro di calcio negli organuli dentro i neuroni. Il ristoro- continua Annunziato- previene che questo calcio si riduca e che possa innescare la morte dei neuroni”. In pratica si ritarda il degrado del neurone? “Si, la strategia terapeutica che suggeriamo e che cercheremo di sviluppare a seguito di questa scoperta è di attivare questo scambiatore per cercare di dilazionare nel tempo la morte dei neuroni”. In un certo senso, si vuole intervenire “nella prima fase della betamiloide che è negativa perché fa morire i neuroni, per attivare dei meccanismi di sopravvivenza, di difesa del neurone ed in particolare attivando lo scambiatore sodio-calcio”. Ma c’è speranza per un farmaco innovativo? “Stiamo sperimentando delle molecole, dei farmaci che attivino direttamente in una fase iniziale questo processo, questo scambiatore sodio-calcio e che quindi lo facciano funzionare a maggiore intensità. Il farmaco potrà avere effetti positivi anche sull’ictus, oltre che sull’Alzheimer. Ma i tempi saranno lunghi, almeno 8/10 anni”.

Medicina: identificata da ricercatori italiani la proteina-sentinella del Parkinson che previene insorgenza malattia, test su topi. Un team di ricercatori dell’Istituto nazionale di Neuroscienze sta sperimentando due molecole che sui topi hanno dato ottimi risultati. Quanto bisognerà aspettare per il farmaco?

Uno spiraglio si luce si intravede per i malati di Parkinson. Viene da una scoperta scientifica realizzata da un gruppo di ricerca internazionale formato dalle Università di Brescia, Verona, Cagliari, Cambridge e Cornell University di New York, coordinato dai professori Marina Pizzi e PierFranco Spano dell’Istituto Nazionale di neuroscienze (INN) e pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Brain di settembre. I ricercatori italiani hanno scoperto una proteina-sentinella chiamata C-rel che agisce come neuro protettore ed è l’antagonista della proteina Rel-a che invece degrada rapidamente le cellule del cervello provocando l’insorgenza del Parkinson. A seguito di questa scoperta la professoressa Pizzi conferma che, insieme a Lucio Annunziato, docente di Farmacologia all’Università Federico II di Napoli, sta sperimentando “sui topi dei farmaci che stimolino l’attivazione della proteina C-rel e allo stesso tempo inibiscano l’attivazione dei fattori trascrizionali della famiglia Nf-Kb e in particolare della componente “cattiva”, cioè la proteina RelA che provoca l’apoptosi delle cellule. Queste molecole protettive che rallentano la neuro degenerazione-aggiunge Pizzi- sono usate per altre malattie come l’ictus e potrebbero avere effetti molto incoraggianti per il Parkinson. La sperimentazione dei farmaci è attualmente sui topolini affetti da ictus ma -aggiunge Pizzi- pensiamo che questi farmaci che arrestano l'attivazione della proteina RelA che degenera le cellule cerebrali possa essere di grande beneficio anche per il Parkinson”.

Le molecole sono state sperimentate in un topolino che però, ci tiene a precisare Pizzi- non è legato al Parkinson ma all’ischemia cerebrale, all’ictus. Queste molecole proteggono il cervello e siccome risultano essere neuro protettive nell’ictus, riteniamo che con dosaggi bassissimi scaglionati e per tempi prolungati si possa arrestare questa degenerazione delle cellule che provocano il Parkinson” .

In pratica queste due molecole allo studio dei ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze, già in uso per altre patologie, “si traducono in un effetto terapeutico sinergico che consente di ridurre enormemente le dosi dei farmaci”. Ma quando si potrà parlare di un farmaco in commercio? “Prima bisogna effettuare la sperimentazione in fase pre-clinica sui topi e sulle cellule-ci dice la professoressa Pizzi- e quindi i tempi non saranno brevi, ma sicuramente siamo sulla strada giusta”. Un farmaco neuroprotettivo che cura e previene l’insorgenza del Parkinson potrebbe avere una qualche valenza terapeutica e preventiva anche per i malati di Alzheimer? La professoressa Pizzi non si sbilancia ma ci conferma che per sicuramente per il “Parkinson questi nuovi farmaci che bloccano il proliferare della proteina Rel-a in sperimentazione avranno pochissimi effetti collaterali e saranno di grande beneficio nella prevenzione e nel trattamento della malattia”.

Il declino della mente, quando si insinua la demenza, inizia tra i 50 e i 60 anni e la progressione della malattia dipende da tanti fattori. Certi sintomi, però sono uguali per tutti: perdita della memoria, difficoltà a panificare la giornata, difficoltà di mantenere la concentrazione fino alle alterazioni significative dell’umore.

I 10 sintomi premonitori dell’Alzheimer

1. Perdita di memoria
che compromette la capacità lavorativa. E' normale, di quando in quando, dimenticare un compito, una scadenza o il nome di un collega, ma la dimenticanza frequente o un’inspiegabile confusione mentale a casa o sul lavoro può significare che c’è qualcosa che non va.

2. Difficoltà nelle attività quotidiane. Una persona molto impegnata può confondersi di tanto in tanto: per esempio dimenticare qualcosa sui fornelli accesi o non ricordare di servire parte di un pasto. Il malato di Alzheimer potrebbe preparare un pasto e non solo dimenticare di servirlo ma anche scordare di averlo fatto.

3. Problemi di linguaggio. A tutti può essere capitato di avere una parola “sulla punta della lingua”, ma il malato di Alzheimer può dimenticare parole semplici o sostituirle con parole improprie rendendo quello che dice difficile da capire.

4. Disorientamento nel tempo e nello spazio. E’ normale dimenticare che giorno della settimana è o quello che si deve comprare, ma il malato di Alzheimer può perdere la strada di casa, non sapere dove è e come ha fatto a trovarsi là.

5. Diminuzione della capacità di giudizio. Scegliere di non portare una maglia o una giacca in una serata fredda è un errore comune, ma un malato di Alzheimer può vestirsi in modo inappropriato, indossando per esempio un accappatoio per andare a fare la spesa o due giacche in una giornata calda.

6. Difficoltà nel pensiero astratto. Compilare un libretto degli assegni può essere difficile per molta gente, ma per il malato di Alzheimer riconoscere i numeri o compiere calcoli può essere impossibile.

7. La cosa giusta al posto sbagliato. A chiunque può capitare di riporre male un portafoglio o le chiavi di casa. Un malato di Alzheimer, però, può mettere questi e altri oggetti in luoghi davvero singolari, come un ferro da stiro nel congelatore o un orologio da polso nel barattolo dello zucchero, e non ricordarsi come siano finiti là.

8. Cambiamenti di umore o di comportamento. Tutti quanti siamo soggetti a cambiamenti di umore, ma nel malato di Alzheimer questi sono particolarmente repentini e senza alcuna ragione apparente.

9. Cambiamenti di personalità. Invecchiando tutti possiamo cambiare la personalità, ma un malato di Alzheimer la può cambiare drammaticamente: da tranquillo diventa irascibile, sospettoso o diffidente.

10. Mancanza di iniziativa. E' normale stancarsi per le faccende domestiche, il lavoro o gli impegni sociali, ma la maggior parte della gente mantiene interesse per le proprie attività. Il malato di Alzheimer lo perde progressivamente: in molte o in tutte le sue solite attività.