Dietro il ricorso presentato dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano alla Corte Costituzionale contro la Procura di Palermo, con cui si solleva un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, c'è una vicenda collegata con l'inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia che i pm palermitani stanno conducendo.
E soprattutto c'è da sciogliere il nodo di alcune intercettazioni che hanno coinvolto lo stesso Presidente della Repubblica. Il punto di fondo è se il Capo dello Stato possa essere intercettato e, più nello specifico, se possa essere intercettato indirettamente, come è accaduto in questo caso.
L'utenza messa sotto controllo su mandato degli inquirenti era infatti quella dell'ex ministro dell'Interno ed ex vice presidente del Csm, Nicola Mancino, in quella fase non indagato e oggi imputato di falsa testimonianza: secondo i pm, Mancino, insediatosi al Viminale il primo luglio 1992, sapeva della trattativa e avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e pezzi di Cosa Nostra intercorsi nei primi anni '90, una stagione segnata dalle stragi di matrice mafiosa, a partire dagli attentati a Falcone e Borsellino, nel maggio e nel luglio 1992.
Per lui e per altri 12 indagati i tre pm che hanno in mano l'inchiesta - Francesco Messineo, Antonio Ingroia e Nino Di Matteo - hanno chiesto il rinvio a giudizio il 24 luglio scorso. Nelle settimane che hanno preceduto questo momento, Mancino ha effettuato telefonate contattando anche il Colle: telefonate giunte a Loris D'Ambrosio, il consulente giuridico del Quirinale morto il 26 giugno, e in alcune occasioni allo stesso Napolitano.
Le conversazioni del Capo dello Stato, quindi, sono state intercettate indirettamente. E se il contenuto delle conversazioni Mancino-Napolitano non è noto, la notizia dei colloqui tra i due è finita sui giornali, aprendo mille polemiche e il conflitto di fronte alla Consulta: il Capo dello Stato, infatti, ha ritenuto lese le proprie prerogative e nel ricorso contesta che sia stata omessa la distruzione automatica delle registrazioni.
I pm di Palermo, dal canto loro, sostengono da una parte l'irrilevanza sul piano penale di queste intercettazioni, dall'altra che in base all'articolo 271 del codice di procedura penale sulla procedura per la distruzione delle intercettazioni, non avrebbero potuto disporre autonomamente la distruzione delle intercettazioni, perchè questo passaggio necessita di un'udienza filtro di fronte al gip: solo un giudice terzo, sostengono, può decidere se quelle intercettazioni possono essere distrutte o possono invece avere un interesse per le parti e debbano quindi essere messe a disposizione dei loro avvocati.