di Maurizio IorioAlanis Morissette
Havoc and bright lights (Sony)
Se a Madonna va riconosciuto un talento artistico, non è tanto al suo lato musicale che bisogna guardare, quanto a quello dell’autopromozione, che rivaleggia con quello che deve avere un frigorifero per vendere se stesso agli eschimesi. Oltre al selfmarketing, la signora Ciccone possiede anche un bel fiuto per scoprire e produrre nuovi talenti. Come la canadese Alanis Morissette, scovata per l’appunto da Madonna e da lei messa sotto contratto con l’etichetta Maverick, di sua proprietà. Canadese di Ottawa, classe ’74, la giovane Morissette, già teen-star televisiva nel suo paese, vende 28 milioni di copie del suo disco d’esordio, “Jagged Little pill” (1995). Altri due cd di teen-pop, registrati in precedenza, vengono rapidamente fatti sparire dalla circolazione. Il resto è storia nota, svariati album alle spalle, rapida scalata alle classifiche, rockeuse di riferimento dell’universo femminile “incazzato”. Tutto questo fino al 2008, quando “Flavors of entanglement” , un disperato grido d’amore per il suo ex, l’attore Ryan Reynolds, che l’aveva piantata per l’attrice Scarlett Johannson, chiude il periodo, assai lungo, della rabbia e del dolore. Poi un’assenza di 4 anni, durante i quali la ragazza, ormai trentottenne, trova di nuovo l’amore ed anche la maternità. Gli artigli vengono spuntati e la felicità entra a far parte del suo bagaglio lirico e musicale, che rispecchia il suo attuale stato di grazia. In “Havoc and bright lights” c’è anche un brano dedicato al marito, “Til you”, che ribalta l’immagine da lei sempre veicolata dell’universo maschile, non propriamente accattivante. Di uomini sbagliati ne ha incontrati parecchi, in linea, d’altronde, con il suo caratteraccio di donna riottosa e difficile da addomesticare. Adesso, nonostante il look da bad girl, la Morissette è moglie e mamma felice, e il suo nuovo album ne rispecchia specularmente l’immagine. “Havoc…” non è un capolavoro da strapparsi i capelli, ma non è neanche da buttare via con l’acqua sporca. Diciamo che nulla toglie e nulla aggiunge al suo repertorio. Sicuramente meglio del precedente “Flavors..”, troppo sporcato da un’inconsueta veste elettronica, poco aderente allo stile della Calamity Jame del rock. Il produttore è rimasto lo stesso, Guy Sigworth, ma il ritorno al suono più ruvido e chitarristico le ha sicuramente giovato. In ogni caso, nessuna illusione, siamo lontani dai tempi di “Ironic”. di “You learn”, o di “You oughta now”. Qui siamo alla quiete dopo la tempesta, tipo “Ore 10 calma piatta”. Il mestiere ormai supporta la carenza di creatività (d’altronde, non si dice che la rabbia ed il dolore siano fonti d’ ispirazione?), ma in qualche brano (“Til You”, “Woman down”), lo sbadiglio parte incontrollato. Ry Cooder
Election special (Nonesuch)
I lettori con la memoria d’elefante avranno sentito sicuramente parlare di tale Ry Cooder, songwriter langelino, ormai 65enne. Per gli altri, basta citare la colonna sonora del wendersiano “Paris Texas” e l’operazione Buena Vista Social Club, da lui organizzata, per avere un’idea dei territori musicali in cui ci troviamo. Artista immenso, molto blues e molto roots, Cooder entra a gamba tesa sulle prossime presidenziali americane, che terranno il mondo con il fiato sospeso fino al 6 novembre, quando gli elettori americani decideranno chi, fra Obama e Romney, sarà l’inquilino della casa Bianca per i prossimi 4 anni. Il nuovo Ry Cooder si intitola “Election Special”, il brano d’apertura “Mitt Romney blues”, che è tutto un programma. L’album, velenoso come pochi, è uscito alla vigilia della convention repubblicana di Tampa. Cooder ci va giù pesante: Romney è molto peggio di Bush (il suo cane, legato al portabagagli, abbaia al suo padrone. Su questa storia David Lettermann fa bei siparietti); i fratelli Koch, miliardari che finanziano a piene mani la destra americana, hanno fatto un patto con il diavolo (“Brother is gone”), Obama passeggia nervosamente nei corridoi della Casa Bianca a pensare come poter salvare l’America (“Cold cold feeling”). Le banche poi, in “Wall Street part of town”, attirano strali al vetriolo, già lanciati in “No bankers left behind” (nel precedente “Pull up some dust”). Lo “speciale elezioni” di Ry Cooder è un prontuario anti-Romney. Se l’ex-governatore del Massachussets dovesse vincere, per la democrazia americana sarà la fine, sostiene Cooder. Le nove canzoni, tutte intinte in un blues scarno e fatto in casa (con il figlio Joaquin), sono delle giaculatorie anti-repubblicane, ma non solo. Tutta la classe politica viene presa a pesci in fascia , da “Guantanamo” , a “Take your hands of it” , (“Giù le mani dalla Costituzione” ). Ma è Romney il parafulmine della rabbia anti-politici di Ry Cooder, che sostiene il movimento “Occupy”, in “The 90 and the 9” e nella già citata “… Wall street”. Infine “Going to Tampa” narra le vicende di un delegato repubblicano che a Tampa va a cercare una notte di sesso. Lo speciale elezioni non è un album erga omnes: è destinato ai lettori di Gore Vidal, ai cultori del primo Dylan, di Woody Gutrhie, di Tom Waits e John Hiatt, a tutti colore che riescono, di questi tempi, a reggere ancora l’ascolto di un album politico. Non pochi, tutto sommato, visto il successo degli springsteeniani “The ghost of Tom Joad” e “Devils and dust”, infarciti di sermoni politici pesanti come palle di cannone.