Venezia 69


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PARADIES: GLAUBE (PARADISE: FAITH)

PARADIES: GLAUBE (PARADISE: FAITH)

di Ulrich Seidl. Austria, Francia, Germania 2012 (Archibald Film)
con Maria Hofstätter, Nabil Saleh.

Lo “scandalo” non è la prospettiva giusta per parlare di questo film di Ulrich Seidl (“Canicola”) dedicato alla fede, secondo della trilogia “Paradies” dopo il primo intitolato all’amore. Ma soprattutto di scandalo si parlerà.

Annamaria lavora come tecnico radiologo in una cittadina austriaca. Ha un solo amore nella vita: Gesù. Per lui prega, si fustiga, sottopone il suo corpo a punizioni, dedica le vacanze a evangelizzare soprattutto gli immigrati, girando di casa in casa con una statuina della Madonna. E’ fede, sì, ma è anche passione, amore carnale addirittura, ossessione. Poi un giorno torna a casa dopo anni il marito, musulmano, paraplegico, violento. Per Annamaria è la prova che gli ha mandato Gesù, la croce che lei deve dimostrare di essere in grado di portare.

Lo scandalo, dicevamo. E’ una scena, breve e in penombra, in cui Annamaria (la bravissima Hofstätter) al culmine della sua passione accarezza, bacia e lecca un crocifisso di dimensioni considerevoli, prima di infilarlo sotto le coperte lasciandoci intuire che lo sta usando per masturbarsi. Questo è. “Può darsi che questo film scioccherà qualcuno – ha spiegato lo stesso regista - ma in definitiva è un film sull'amore portato all'estremo, la storia di una donna che cerca di soddisfare i propri desideri, in conflitto tra i valori cristiani, l'amore spirituale e quello sessuale”. Il film, in realtà, “indaga” ben poco sulla fede (sempre Seidl: “Non è una storia rappresentativa per tutta la fede cristiana, è una storia che può raccontare la fede”). Complice, infatti, anche l’elemento che tutto il film è stato molto lasciato all’improvvisazione degli attori e alla loro fisicità, “Paradise: Faith” sembra un film sul corpo più che sullo spirito, sul corpo esibito, umiliato, ferito, ridicolo anche, inadeguato. Il tutto guardato con un occhio cinico che se strappa a tratti sincere risate liberatorie, rende la visione faticosa e adatta a un pubblico di appassionati.