di Sandro Calicedi Paul Thomas Anderson, Usa 2012 (Lucky Red)
con Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Laura Dern.
Che il sesto film da regista di Paul Thomas Anderson, uno che ci ha regalato un capolavoro come “Magnolia” (1999) e due grandi film come “Boogie Nights” (1997) e “Il petroliere” (2007), sia o meno la storia del fondatore di Scientology Ron Hubbard, è francamente un dubbio noioso e forse anche inutile, anche se Anderson non nega la possibilità di aver preso l’ispirazione da lì e – forse per evitare fraintendimenti – confessa di aver fatto vedere il film a Tom Cruise, uno dei più ferventi (e potenti) seguaci della setta.
La storia. Siamo nell’America dell’inizio degli anni ’50. Freddie Quell (un impressionante Joaquin Phoenix) è un reduce della Marina che porta fisicamente addosso i traumi della guerra: piegato su sé stesso, alcolizzato, disturbato, incapace di costruire relazioni, violento, solo. Per caso si imbatte in Lancaster Dodd (il solito, gigantesco Seymour Hoffman), “scrittore, dottore fisico nucleare, filosofo teoretico”, come lui stesso si presenta, il Maestro appunto, e nel suo movimento, “La Causa”. E’ un colpo di fulmine per entrambi, perché si completano e ognuno è quello di cui l’altro ha bisogno. Contro la sua pulsione alla fuga e alla bestialità, Quell sceglie di rimanere e di sottoporsi all’iniziazione, contro il parere della moglie e della famiglia, Dodd sceglie Quell come archetipo dell’adepto, se ce la fa con lui può farcela con tutti. E’ la strada più difficile per tutti e due.
“Nella storia tra maestro e allievo non c’è il rapporto padre e figlio o padrone e servo. Piuttosto i due si muovono come dentro un romanzo d’amore, insieme quasi si identificano, sono fatti dello stesso materiale, due bestie selvagge che vogliono addomesticarsi” spiega Anderson in una conferenza stampa dove Phoenix fa il divo svogliato. E in effetti tutto il film è costruito sulla relazione tra Quell e Dodd, sui loro volti, le loro reazioni, sul rapporto quasi erotico che si crea con gesti e parole. Magnifiche interpretazioni, abbiamo detto, esaltate anche dal fatto che il film è stato girato in 70 mm e dal terzo grande attore del cast, la musica di Jonny Greenwood, che segue e sottolinea passo passo ogni scena, ogni cambiamento di umore, ogni immagine. Nonostante la solita magistrale messa in scena di Anderson, questo sesto lavoro non si colloca pienamente all’altezza dei precedenti, ma sarà difficile che non raccolga almeno un premio.