di Luca Garosi
(l.garosi@rai.it)
Quali sono le conseguenze dei cambiamenti climatici per il paesaggio montano? I ghiacciai stanno abbandonando le montagne? Quali possono essere le possibili conseguenze per l’ambiente? Cosa succederà ai territori montani e alla qualità di vita delle comunità locali? Di tutto questo si è discusso al IX Forum dell’Informazione cattolica organizzato a Trento da Greenaccord Onlus in collaborazione con UCSI (Unione cattolica Stampa Italiana) e FISC (Federazione italiana Settimanali Cattolici) e in partenariato con la Provincia autonoma e l’Arcidiocesi di Trento.
“Se si sciogliessero tutti i ghiacciai della Terra il livello del mare si alzerebbe di 70 metri, ma basterebbero soltanto due metri per creare grossi problemi in molte zone del mondo”, lo ha sottolineato Carlo Baroni, presidente del Comitato Glaciologico Italiano, intervenuto nella sessione pomeridiana dei lavori del Forum. Poi ha evidenziato che “fare del facile allarmismo non è utile né opportuno. Ma è un dato di fatto che, con questi ritmi e senza interventi, fra qualche anno arriveremo a doverci confrontare con una realtà in cui ci saranno ancora le montagne ma senza ghiacciai”. I ghiacciai alpini sono importanti - “È vero – ha proseguito il presidente del Comitato Glaciologico Italiano - che i ghiacciai alpini rappresentano solo lo 0,02% del peso totale di tutti i ghiacciai terrestri. Ma il loro ruolo sugli ecosistemi fluviali italiani e per la fornitura di acqua nei mesi estivi è cruciale per il nostro Paese”. Non c’è ghiacciaio che sia rimasto immune da una riduzione che preoccupa molto i climatologi: ghiacciaio di Rocciamelone, della Bessanese, della Ciamarella, del Teleccio, della Valsavarenche, dei Forni, Pizzo Ferrè, di Fellaria. “Il ghiacciaio della Lobbia – ha sottolineato Baroni – si è ridotto del 42% in estensione e del 65% in volume. Quello della Presanella sull’Adamello ha perso i 2/3 della sua grandezza”.
Non si sa quanti sono i ghiacciai in Italia - A preoccupare Baroni non è solo l’aspetto climatico. Ma anche l’assenza di strumenti di monitoraggio adeguato: “l’ultimo catasto dei ghiacciai italiani risale a 1988/89. Da 24 anni a questa parte le rilevazioni sono lasciate alla sensibilità delle realtà locali. Ma manca un quadro d’insieme. Una lacuna gravissima perché senza una fotografia adeguata è impossibile monitorare lo stato di salute di un malato”.
I ghiacciai abbandonano le montagne? - ”Il dato sicuro – ha sottolineato Baroni – è che siamo vicini ai livelli minimi dei ghiacciai”. Quello che è meno sicuro è come classificare questa variazione, ha spiegato ancora il geologo. Infatti non sappiamo se questa riduzione è dovuta ai cambiamenti climatici oppure fa parte di una variabilità naturale. In passato, ha ricordato Baroni, i livelli dei ghiacciai sono variati prima abbassandosi e poi rialzandosi. Per spiegare questo fenomeno il geologo ha citato il ritrovamento nel 1991 di una mummia nel ghiacciaio del Similuan (al confine tra Italia e Austria). Oggi conosciuto come l’Uomo del Similuan, vissuto in un'epoca compresa tra il 3300 e il 3200 a.C. (età del rame) e il cui corpo si è conservato proprio grazie alle particolari condizioni climatiche. Quando quell’uomo morì in quel territorio non c’era sicuramente ghiaccio, ma poi una nevicata ha ricoperto il corpo, la neve si è trasformata in ghiaccio contribuendo ad aumentare il livello del Similuan. Il bosco, l’orso e il lupo: la biodiversità della montagna - Quello che è certo è che a causa dell’attuale scioglimento dei ghiacciai rischia l’estinzione il fringuello alpino, un uccello che ha origine nell’Asia centrale e che vive soltanto in luoghi dove fa molto freddo. A ricordare i rischi collegati ai cambiamenti climatici sugli animali che vivono in montagna è stato, in un’altra relazione del Forum, il biologo Francesco Petretti, noto al grande pubblico per essere uno degli storici collaboratori della trasmissione di Rai Tre “Geo & Geo”.
Petretti ha parlato della pratica della reintroduzione di alcune specie animali nei territori di montagna: dallo stambecco al gipeto, dall’orso al lupo. Ha sottolineato, inoltre, come la tutela dell’ecosistema naturale si traduce in fonte di reddito per le popolazioni locali. “Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, nella Valle del Sangro, ogni anno 1,5 milioni di visitatori sono attratti principalmente, se non unicamente, dall’orso marsicano. Gli orsi diventano veri e propri datori di lavoro, che tengono in piedi un’economia locale. Basti pensare che nei Comuni del Parco ci sono 138 insegne commerciali che richiamano a questo animale. Quel territorio non ha stabilimenti industriali né imprese agricole rilevanti. Consentire che si riducano di numero fin quasi all’estinzione è una scelta assolutamente miope”.
L'intervista a Carlo Baroni
L'intervista a Francesco Petretti