- Nel libro-intervista a Gallino si sostiene che la qualità della lotta delle classi e l’assenza di dialettica sono correlati con lo sviluppo delle scienze sociali. In che modo?
La mancata dialettica e soprattutto la mancata visibilità di essa si è riflessa sulla tradizione delle scienze sociali e in particolare della sociologia. A partire dagli anni ’80 un discreto numero di sociologi ha iniziato a sostenere che le classi sociali avevano perso rilevanza e che dunque per comprendere le disuguaglianze non era più utile ragionare su di esse. L’idea di fondo è che il lavoro ha perso gran parte della sua rilevanza sociale e che dunque non è più possibile identificare raggruppamenti sociali distinti sulla base del modo in cui gli individui partecipano al lavoro. Ha cioè perso peso l’idea di un legame tra posizione occupazionale e condizioni complessive di vita. Ad esempio, sociologi come Ulrich Beck sono giunti a sostenere che quella di classe sociale è una categoria zombie, totalmente inadeguata a descrivere le strutture di disuguaglianza.
- Quindi la ricerca e il dibattito scientifico sulle classi sono spariti?
Secondo me è più corretto dire che questo dibattito esiste fuori dal mainstream della sociologia e delle scienze sociali e che perciò ha perso visibilità. Ci sono sociologi che continuano ad occuparsi di classi, di stratificazione occupazionale, di ceto medio. Ma questo non è al centro della riflessione disciplinare. Credo che ciò significhi rinunciare a comprendere qualcosa della nostra società, poiché la nozione di classe è una lente ancora utile per leggere molti fenomeni. Di fatto chi si cimenta su questi temi dimostra che diverse dimensioni della disuguaglianza sono ancora strettamente legate all’appartenenza di classe. Non sto affatto dicendo che sia la sola categoria utile o euristicamente feconda e neppure che la vecchia società industriale non si sia trasformata, ma che se la abbandoniamo rinunciamo a comprendere molto di quello che avviene sotto i nostri occhi.
- Nel libro citate i lavori di Dahrendorf e Touraine per mostrare come quello delle classi sociali fosse un topos classico.
Certamente. E parliamo di opere decisive per la sociologia. Libri incisivi, che hanno creato autocoscienza sociale, conoscenza riflessiva di sé. Oggi libri di quella portata non ci sono. Esistono ricerche e studi che sono però relegati in qualche dipartimento universitario e non hanno visibilità. La nostra convinzione, espressa già nel titolo del libro, è che la lotta di classe esiste e che la nozione di classe ci aiuta a comprendere come le disuguaglianze nella sfera lavorativa condizionino quelle nella sfera della vita. Forse che la precarietà lavorativa non si traduce in forme di precarietà in altre sfere? -Nel libro si cerca di illuminare l’attuale crisi economica proprio attraverso il concetto di classe e attraverso l’odierna lotta di classe a una direzione. Eppure tutto ciò è sparito dall’immaginario.
Il fatto che manchi una riflessione fa sì che questi temi spariscano anche dall’immaginario. Faccio un esempio. Quando parlo con i miei studenti e introduco l’argomento delle classi chiedo loro se sanno cosa sono. Ora, 100-150 giovani di circa 20 anni tacciono: a Torino nessuno tira fuori l’espressione classe operaia. E’ una cosa che mi colpisce e che dimostra come oggi non si ragioni assolutamente più attraverso quella lente, anche quando alcuni di quei giovani hanno i genitori in cassa integrazione alla Fiat. Manca completamente la dimensione della coscienza di appartenere ad una classe, a ciò che Weber definiva “comunità di destino”.
- Sparito il concetto di classe, cosa resta di quelli di alienazione e ideologia?
Ideologia, come ci ha insegnato Mannheim, è sinonimo di pensiero condizionato dagli interessi di parte. Certo che quando il pensiero diventa unico e quindi la parte stessa diventa unica è difficile scorgere che quella è ideologia. E questo è di nuovo legato alla mancanza di dialettica. Smascherare l’ideologia vuol dire individuare gli interessi di cui è portatore chi elabora un certo complesso di credenze e di valori. Ma questo compito può essere assolto solo quando vi sono parti contrapposte che si confrontano. Oggi la tesi è molto chiara: è l’ideologia neoliberale. Manca una chiara contro tesi che mostri quali sono gli interessi che stanno dietro quell’elaborzione di pensiero. L’alienazione era un tema classico della ricerca sociologica. Anche esso è scomparso. Oggi la classe operaia è frammentata, è scomparso il luogo, la grande fabbrica dove l’in sé poteva più facilmente prendere coscienza e divenire il per sé e quindi anche il tema dell’alienazione è sparito dal dibattito a dispetto del fatto che le condizioni di lavoro dei lavoratori globali determinino fortemente le loro condizioni di vita. Tanto più nell’economia informale, dove vivono un miliardo e più di persone in assenza quasi totale di diritti. Ciò ci porta a ritenere che l’obiezione secondo cui il lavoro ha perso rilevanza valga al massimo per una quota minoritaria di lavoratori dei paesi ancora relativamente benestanti e forse neppure per quelli.
(M. P.)