di Rita Piccolini
“Dove sta oggi la sovranità”. La domanda a cui si tenta di dare risposta è l’argomento di cui si è parlato al Censis, a partire da un testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione di giugno “Un mese di sociale”, giunto alla ventiquattresima edizione e dedicato quest’anno al tema della “Crisi della sovranità”. Al primo dei quattro incontri previsti nell’arco dell’intero mese sono intervenuti il presidente del Censis Giuseppe De Rita, il direttore generale Giuseppe Roma e il responsabile del settore Politiche sociali Francesco Maietta.
Il professor De Rita aveva anticipato l’argomento in un articolo pubblicato lo scorso 2 giugno dal Corriere della Sera. Scrive De Rita:”Avvertiamo tutti la sudditanza a decisioni che hanno origine altrove, in particolare nella grande finanza globalizzata…Chi non ha voce o almeno appartenenza nel circuito del grande potere finanziario (di fatto la moderna sede della sovranità), rischia di apparire come semplice figurante di un panorama di impotenze. I grandi vertici mondiali, dai G5 ai G20, sembrano volenterose conferenze di vecchi e nuovi amici in attesa di un’affollata foto ricordo…I governi nazionali si affannano a controllare i lori “debiti sovrani, i parlamenti non hanno più potere decisionale…e il “popolo” formalmente ancora titolare di ogni democratica sovranità, finisce per sottostare a poteri sempre più alti e lontani”. Nello studio presentato al Censis vengono forniti i dati statistici e le analisi sociologiche di questo quadro sconfortante quanto allarmistico.
Per 150 anni siamo stati abituati all’idea che la sovranità sta nello Stato e nella politica che lo gestisce ai vari livelli, ma oggi ci rendiamo conto sempre di più che la sovranità è altrove. ”Con la decostruzione delle sovranità tradizionali- si legge nel rapporto- la nuova sovranità slitta sempre più in alto, nel potere incontrollato della finanza internazionale, con flussi e ricatti di potere che non hanno precedenti nella storia dell’Occidente . La categoria nazionale dei “tecnici” risulta così legittimata dai ristretti circuiti della nuova sovranità. E il popolo? Sovrano in Costituzione, destinato alla piazza o al mugugno”.
Ma leggiamoli questi dati, sono veramente significativi. Per gli italiani la sovranità perduta è quella del cittadino. Il 75% ritiene che la propria voce non conti nulla in Europa. Solo tra i greci si registra una percentuale più alta (l’ 84%).Il valore medio dell’Unione europea è del 61%. E peggio, il 77% degli italiani ritiene di non avere sovranità neppure nel proprio Paese, così come l’84% dei greci e più della metà degli spagnoli,(il 52%). “E’ forte il senso di impotenza rispetto ai processi decisionali- leggiamo ancora nel rapporto- ed è ampio il gap tra le opinioni della gente comune e le decisioni dei leader politici: la pensa così il 91% degli italiani, come il 93% degli spagnoli e il 96% dei greci”. E ancora: “La sudditanza ai circuiti finanziari internazionali percepita a livello sociale convive con la convinzione che le istituzioni nazionali avrebbero potuto fare di più. Si riversa quindi sulla politica la delusione per non aver saputo mediare fra le dinamiche finanziarie globali e la vita quotidiana dei cittadini”.
Spiega il professor Maietta che è chiara ormai la percezione che i Paesi sono condizionati dalla scelta degli operatori internazionali. Cinquanta anni fa il debito pubblico era un terzo del Pil, di decennio in decennio è aumentato vertiginosamente, ci siamo sempre più indebitati, abbiamo perduto quote di sovranità. In questa fase così difficili il 55,1 % degli italiani ritiene che ai vertice della cosa pubblica debbano esserci persone “competenti”, non importa se elette, purché facciano, se necessario, anche cose impopolari. Relativamente a questo dato siamo diversi rispetto agli altri paesi europei, perché si pensa che i “tecnici”, interni al circuito e parte del meccanismo, ci possano salvare. E’ per questo, spiega Maietta, che in Italia vince ora la retorica antipolitica e antipartitica, mentre altrove la contestazione si rivolge alle élite finanziarie. Per questo da noi si è più disponibili alla cessione di quote di sovranità a organismi sovranazionali.
Ma non la pensano così i giovani. Coloro che hanno tra i 18 e i 29 anni, più frustrati degli altri per le mediocri prospettive per il loro futuro, sono quelli che subiscono meno “il fascino del potere taumaturgico dei tecnici”. Per il 54% di loro è giusto che a governare siano rappresentanti espressi dai cittadini, con una chiara imputazione di responsabilità”.
POTERE DI POCHI, DALL’ALTO, CHE VIENE DA LONTANO
Tre punti da cui ripartire secondo il professor De Rita
La sala del Censis in cui vengono illustrati i dati del rapporto è gremita come non mai. Professori, sociologi, imprenditori, storici, giornalisti. L’argomento è scottante, riguarda da vicino la vita e il futuro di ognuno. Le domande sono incalzanti, precise, meditate, a volte più che domande sono considerazioni. Il professor De Rita risponde a tutti.
Qual è il dato sociale che allarme di più?
La pericolosa accettazione della sudditanza. In Italia non abbiamo affrontato fino in fondo il problema del debito pubblico che ci toglie sovranità. C’è stato un momento “magico” a fine novembre, dopo l’insediamento del governo Monti, in cui gli italiani, consapevoli e spaventati, avrebbero accettato di riprendersi la propria sovranità pagandola, poi ci si siamo perduti in dibattiti e diatribe.
Dov’è l’errore?
Facciamo antagonismo ai partiti, non alle élite finanziarie. Così gli appartenenti alle nuove sovranità non si toccano.
Come ripartire?
Primo: dal recupero delle istituzioni. Non abbiamo più fiducia. Sembriamo a-istituzionali. Dobbiamo recuperare le nostre piccole sovranità. Per questo serve partecipazione. Non ci piace essere sudditi di altri. Costruiamo sul nostro piccolo frammento di sovranità. Noi stiamo delegando, ci affidiamo agli “appartenenti al circuito”. Secondo: accettiamo la sudditanza ma prepariamoci a quella che in termini un po’ desueti e novecenteschi definiremo l’insorgenza di una nuova “lotta di classe”. Ne parla Luciano Gallino in un libro pubblicato da poco. Attualmente oltre 7,5 milioni di lavoratori si dichiarano convinti che nel settore in cui sono occupati, nei prossimi anni saranno distrutti posti di lavoro. Ci sarà una nuova cultura di classe non contro il governo tecnico, ma contro altre classi sociali e altri stili di vita. Ora si fa solo antagonismo.
Terzo e ultimo punto: ci sarà un’evoluzione naturale. I giovani, e quelli che hanno un grado di istruzione più alto (lo dimostrano i dati del rapporto), hanno capito che il senso di sudditanza non è obbligatorio e che la battaglia non è persa. Ma non vi perdete le prossime puntate, scherza per sdrammatizzare il professore de Rita.