Assoenologi a congresso


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In vino veritas

Il nostro vino traina l'export vino_cantina_296

di Maurizio Iorio

E’ partita la crociera da bere, o meglio, per bere. L’Assoenologi, che con 121 anni di storia alle spalle è la più antica associazione di categoria del mondo, tiene il suo 67° congresso a bordo della Costa Atlantica, in navigazione da Savona a Ibiza. L’associazione dei tecnici vitivinicoli, che porta sulle onde del Mediterraneo oltre 1000 partecipanti, discute delle problematiche del settore, particolarmente sentite in un periodo di forte crisi economica. Il comparto vitivinicolo italiano vale complessivamente 14 miliardi di euro, ed è una delle voci più importanti dell’export, che nel 2011 è cresciuto dell’11%, per un controvalore di 4,4 miliardi. Di fatto, una bottiglia su quattro di quelle stappate nel mondo è italiana. Il lavoro dei tecnici del settore è stato fondamentale per portare a questi livelli la produzione nazionale, che sta supplendo con l’export alla contrazione del mercato interno. Non eccessiva (42 litri il consumo annuo pro-capite a fronte dei 45 del 2007), ma comunque significativa.

Il vino italiano primo nel mondo
Quanto all’export, invece, i dati sono lusinghieri: nel 2011 si è registrato un incremento in valore del 12% e del 9% in volume. Si beve meno, ma si beve meglio, il consumo è più consapevole, e questo si traduce in un aumento della qualità. Sta di fatto che il vino è il vero e proprio alfiere del made in Italy, ma è altrettanto vero che le difficoltà del momento, che vanno dai cambiamenti climatici ai costi di produzione, rischiano di mettere in crisi un settore trainante della nostra economia. “Le aziende vitivinicole non possono stare ferme, ma devono innovare ed evolvere” – ha detto Mario Guidi, presidente di Confagricoltura. “Mutano il clima, le tecnologie, i mercati, ed allora le strategie produttive devono adeguarsi e guardare oltre”. E per questo che il sistema, per rimanere competitivo, deve stare al passo con le mutazioni del mercato e dei gusti della clientela. “Quindi” - ha aggiunto Guidi -, “servono interventi che abbiano come obiettivi semplificazione, coerenza e sostegno”. Guidi, infatti, non ha mancato di tirare una stoccata all’apparato burocratico, da sempre palla al piede di qualsivoglia sistema produttivo: “la legislazione del settore è complessa e variegata, il carico burocratico cui sono sottoposti i viticoltori è tale da causare un incremento indiretto dei costi di produzione a scapito della collettività”. Guidi ha auspicato una omologazione delle procedure di gestione delle regioni e fra i diversi enti preposti. Altro problema da risolvere è la poca coerenza fra ricavi, denominazione e pregio, con vini comuni dai prezzi elevati e dop da poco più di un euro. Di fatto, l’auspicio del settore è che il “sistema paese accompagni le iniziative commerciali all’estero, rafforzando l’immagine e la percezione del vino italiano nel mondo”.

Le tematiche del congresso
Non è un caso che le tematiche al centro del congresso siano gli effetti dei cambiamenti climatici sulla produzione vinicola, la crisi economica, i successi dell’export, la difficoltà di fare impresa in Italia e la necessità di razionalizzare i costi senza ledere la qualità. Alcune delle problematiche del momento, come il surriscaldamento globale, possono essere trasformate anche in opportunità, mentre le prospettive per l’export per il 2012 non sono molto rosee. La frammentazione della produzione, l’eccesso di denominazioni e l’assenza di una unica cabina di regia rischiano di minare gli sforzi che molte realtà imprenditoriali sostengono per restare sul mercato. In ogni caso “mal comune mezzo gaudio”, per dirla con un vecchio adagio. Se in Italia il consumo interno subirà una contrazione ulteriore nel 2012, negli altri paesi produttori la situazione è nettamente peggiore. Solo in Cina ed in Brasile la produzione ha avuto un aumento significativo, + 13% e + 28%. Inoltre, va considerato che la superficie coltivata a vite è passata da 1.230.000 di ettari del 1980 ai 684.000 attuali. D’altronde, negli anni ’70 il consumo era di 110 litri pro capite. Insomma, in un periodo tutt’altro che roseo a causa della crisi economica mondiale, le prospettive del “vinitaly” sono tutto sommato meno plumbee di quelle di altri settori.

Il vino italiano è il più richiesto al mondo
Il vino italiano è come la moda, riesce a stare sul mercato perché offre una qualità unica, e proprio per questo è il più richiesto al mondo. L’impegno delle aziende vitivinicole è quello di mantenere alto il livello qualitativo, anche se il 2012 è stato una delle peggiori annate degli ultimi decenni. Per trovare una vendemmia così scarsa bisogna risalire al 1948, quando si produssero solo 40,5 milioni di ettolitri. Giuseppe Martelli, presidente dell’Associazione, ha sottolineato come l’export del nostro vino sia la locomotiva dell’agroalimentare, che spesso tocca punte del 35% delle vendite di tutto il comparto. “Il vino è storia, cultura, tradizione, territorio, ma è soprattutto business” – ha detto. “Solo con la poesia non si campa, non ci si afferma, non si vende, non si conquistano o costruiscono mercati”. In vino veritas.